Che sorpresa questo nuovo Ozpetek, che riesce a fondere una moltitudine di temi con una straordinaria coerenza narrativa, senza mai cadere nel didascalico o nell’ovvio. Come in un ricamo, ogni filo della trama si intreccia con un altro, portando in scena un affresco collettivo e intimo, personale e storico, dove l’apparente semplicità nasconde un lavoro minuzioso. In Diamanti, il passato e il presente dialogano, il visibile e l’invisibile si compenetrano, e i temi della creatività, della sorellanza, della nostalgia e dell’identità trovano un’espressione unica attraverso il linguaggio del cinema.
Diamanti esplora l’universo femminile e lo fa con un coraggio e una delicatezza che raramente si vedono oggi. E’ un’indagine su ciò che significa creare, ricordare, tessere insieme le trame della vita e della storia. Il film è ambientato in una sartoria. Ma non una sartoria qualunque: siamo negli anni ’80, in uno di quei luoghi magici dove il cinema si fa anche con ago e filo, dove le mani esperte di donne creano abiti che raccontano storie prima ancora che gli attori li indossino.
È in questi spazi affollati, vivi, dominati dal rumore delle macchine da cucire, che il giovane Ferzan Ozpetek, allora aiuto regista, si è innamorato di un mondo fatto di dettagli, di precisione maniacale, di bellezza artigianale. “Erano luoghi che mi affascinavano”, racconta il regista. “C’erano i grandi costumisti, i registi, le attrici, ma erano le sarte le vere protagoniste, capaci di trasformare un’idea in un capolavoro come nella sartoria di Umberto Tirelli”.
Questo ricordo personale è diventato il punto di partenza per il film. “Diamanti è un omaggio a quelle donne e a quel lavoro straordinario”, spiega Ozpetek. Ma non è solo una celebrazione della tradizione sartoriale: è anche una riflessione sul tempo, sull’eleganza che sembra perduta, sulla creatività come atto collettivo. “Abiti così oggi non si fanno più”. sottolinea. “Oggi si riadattano quelli esistenti, si è persa quella dedizione assoluta al dettaglio”.
Va detto che i costumi, realizzati con una precisione maniacale, sono veri protagonisti del film. L’abito rosso, simbolo centrale della pellicola, è un’opera d’arte in sé: 160 metri di tessuto, doppiato in crinolina nera, in cui ogni piega e cucitura diventa un dettaglio capace di evocare significati profondi.
Non a caso, il film mostra alcuni dei costumi più iconici della storia del cinema: gli abiti di Claudia Cardinale ne Il Gattopardo e quelli di Romy Schneider in Ludwig, entrambi firmati da Piero Tosi per Luchino Visconti. Una scelta che non è solo nostalgia, ma anche un modo per connettere passato e presente, per ricordarci che la bellezza è sempre il risultato di un lavoro invisibile.
Se il film esiste, gran parte del merito è di un ensemble straordinario di diciotto attrici italiane, scelte con cura dal regista tra le artiste con cui ha costruito, negli anni, un legame profondo fatto di stima e affetto. Al centro del racconto due sorelle, Luisa Ranieri e Jasmine Trinca.
Sono loro a guidare la sartoria. La prima, rigida e implacabile, pretende il massimo dalle sue collaboratrici, spronandole senza tregua; la seconda, più vulnerabile, nasconde un dolore segreto che si rivelerà solo nel momento cruciale. A sconvolgere ulteriormente gli equilibri, arriva la celebre costumista Bianca Vega, Vanessa Scalera, una leggenda del cinema pluripremiata con Oscar, famosa tanto per il suo genio quanto per il suo temperamento impossibile. Intorno a loro ruota un universo variegato di vite femminili, animate dalle storie personali di Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Giselda Volodi e Milena Vukotic. Una tela collettiva di passioni, conflitti e sogni da cucire insieme.