Mario Balsamo è un nome che il Torino Film Festival conosce bene. Dopo aver vinto il Premio della Giuria nel 2012 con Noi non siamo come James Bond e aver conquistato il pubblico nel 2015 con Mia madre fa l’attrice, il regista torna quest’anno per la terza volta in concorso con In Ultimo, un documentario intenso e profondo presentato in anteprima mondiale il 25 novembre. Un record per il documentarista italiano, che conferma il suo legame speciale con la manifestazione torinese.
Balsamo esplora ancora una volta un tema delicato: la morte come parte del ciclo della vita. Al centro della narrazione c’è il dottor Claudio Ritossa, medico palliativista presso l’Hospice Anemos di Torino, un luogo dove le cure palliative non si limitano al sollievo fisico ma si estendono al sostegno psicologico e spirituale. Attraverso le testimonianze dei pazienti e dei loro familiari, il film riesce a mostrare una realtà spesso ignorata, ma di straordinaria umanità. “In quel luogo la morte non è un’antagonista della vita, ma una sua parte integrante”, spiega il regista. Il documentario è costruito con sobrietà e rispetto. Le riprese interne, avvolte in una luce sovraesposta, creano un senso di sospensione, mentre quelle esterne restituiscono la tangibile quotidianità degli hospice.
C’è la testimonianza di Angela, una donna che ha affrontato la malattia con una grazia straordinaria. “Quando le dissero che non avrebbe vissuto più di un anno, rispose con una serenità disarmante: ‘Vai a comprare una torta, così la mangiamo insieme’”, racconta Balsamo. Questo tipo di atteggiamento, lontano da ogni retorica, ha rappresentato per il regista una lezione di vita e di umanità.
Un altro simbolo potente del documentario è il ciclo delle piante, una passione personale del dottor Ritossa. “Anche le piante si ammalano, ma vivono il loro tempo con una naturalezza che rimanda a qualcosa di più grande”, osserva il regista. “Questo parallelismo mi è sembrato perfetto per raccontare la morte come parte integrante di un processo più ampio, che include anche la vita”. Il tema della natura diventa così una chiave per comprendere il senso più profondo dell’esistenza.
L’aspetto sociale del film non è meno rilevante. Balsamo punta i riflettori sulla carenza di strutture palliative in Italia: “Solo un hospice su tre riesce a garantire accesso a figure professionali adeguate, eppure questi luoghi sono fondamentali, non solo per i pazienti ma anche per i familiari. Sono spazi di supporto, di accoglienza e, sorprendentemente, di luce”.
Sul tema del fine vita, il regista esprime una posizione chiara: “Sono favorevole all’autodeterminazione, purché avvenga nel rispetto delle necessarie certificazioni. Ma in Italia ci sono discriminazioni economiche che rendono il suicidio assistito accessibile solo a chi può permetterselo. Questo crea situazioni di grande sofferenza, che spesso portano a scelte disperate”.
La partecipazione dei pazienti e dei familiari è stata centrale nella realizzazione del film. “Non abbiamo trovato resistenza, anzi: tutti hanno capito l’importanza di far conoscere questa realtà”. racconta. Alcuni dei familiari saranno presenti alla proiezione, mentre altri, purtroppo, non ci sono più. “La loro adesione è stata una testimonianza del valore che queste strutture rappresentano, non solo per chi le vive, ma per chi osserva da fuori”.
Realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte e in coproduzione con il Portogallo, In Ultimo celebra il valore del documentario come strumento di riflessione e racconto. “E’ una forma d’arte spesso trascurata, ma ha un valore culturale enorme. Può arricchire il cinema di finzione e raccontare storie che altrimenti rimarrebbero inascoltate”, conclude Balsamo.