Dopo l’eco di Corpus Christi e una nomination all’Oscar, Jan Komasa torna con Anniversary, atteso nei cinema statunitensi agli inizi del 2025.Il regista polacco ci proietta in un dramma dalle tinte apocalittiche, ma questa volta non c’è un virus che attacca i corpi: è un morbo invisibile che scardina dall’interno le relazioni più intime, svelando la fragilità di una società sempre più polarizzata. La storia segue una famiglia all’apparenza solida, che si sfalda man mano che “The Change” — un movimento sociale radicale — si diffonde e travolge il paese, trasformando per sempre le loro vite.
Komasa, presnete a Roma in occasione del CiakPolska Film Festival, descrive Anniversary come “il suo peggior incubo”: un “virus sociale” capace di infiltrarsi nelle relazioni e di trasformare l’amore in sospetto. “Provengo da una famiglia numerosa, e questo tema è qualcosa che mi tormenta. Mi chiedo: cosa accadrebbe se il tradimento arrivasse proprio dalle persone più care, da un figlio, una madre o un compagno? Potrebbero pensare di fare la cosa giusta, eppure distruggere ogni legame”.
E se è vero che l’ispirazione affonda le radici nel clima di conflitto latente di oggi, l’America e la figura di Donald Trump, per Komasa, sono la sua musa oscura. “Trump ha preso la politica e l’ha trasformata in uno show televisivo senza sosta, un circo mediatico a cui tutti, volenti o nolenti, si sentono costretti a partecipare,” dice il regista, il cui sguardo tagliente sulle dinamiche sociali ha già trovato spazio in The Hater, un’analisi al vetriolo dell’era social.
In un mondo intrappolato in schieramenti rigidi — pro-Trump contro anti-Trump, vaccinisti contro no-vax, progressisti contro conservatori — Komasa svela la trappola più insidiosa della nostra epoca: “E se fossero proprio le persone che amiamo a tradirci, pensando di fare la cosa giusta?” Oggi tutti sembrano coinvolti politicamente. Persone che erano apolitiche ora sono interessate e votano. La politica è diventata uno spettacolo, Donald Trump è diventato una sorta di show televisivo, e noi osserviamo tutto come una serie TV.
In Anniversary, la famiglia — quel luogo che dovrebbe essere un rifugio — diventa il primo fronte di una guerra ideologica. Padri e madri non riconoscono più i loro figli, i partner evitano di discutere di politica per non scatenare liti furiose. Il “virus sociale” invade le cene della domenica, frattura i gruppi di amici e rende i social una trincea virtuale. Trump, per molti, non è più solo un politico, ma un simbolo divisivo, capace di accendere polemiche persino tra i parenti.
Komasa va oltre l’analisi sociale: esplora il dilemma morale che emerge quando qualcuno a cui vuoi bene commette un errore e ti chiede aiuto. “Se uno dei miei figli facesse qualcosa di sbagliato, riuscirei a denunciarlo?” è una domanda che si pone e che ci riporta a una realtà condivisa.
In Anniversary, seguiamo una discesa in un abisso di tensioni irrisolte, dove la politica trasforma la fiducia in diffidenza. Il regista sembra chiederci: cosa succede quando la politica non solo invade le nostre case, ma si impossessa delle nostre vite? Komasa tratteggia una realtà senza compromessi: in un mondo diviso, dove le ideologie dominano e perfino i legami familiari sono in bilico, il vero virus non è solo quello online, ma quello che serpeggia dentro di noi, insinuando dubbi su chi ci sta accanto.
“Il mondo si sta schierando e le famiglie si dividono su temi come Israele, Palestina o Ucraina. Ho parenti che hanno votato Trump e non vedono il quadro generale. È interessante osservare come il Partito Democratico non rappresenti più la classe lavoratrice e come Trump riesca a parlare ai loro problemi, mentre i Democratici parlano di giustizia ma tralasciano temi concreti come inflazione e salari.”
Komasa crede che, più che l’apocalisse, siamo persone resilienti. “Come artista devo emozionarmi per i cambiamenti, anche quelli che mi spaventano. Essere gentili è fondamentale: possiamo essere brillanti e competenti, ma senza gentilezza perdiamo qualcosa di essenziale. Se trovassimo il modo di essere più gentili, saremmo in un mondo molto migliore di questo.”