“L’ispirazione per il film viene dal nostro vivere quotidiano. Spesso le vite che conduciamo ci impediscono di esprimerci veramente”. Luigi di Capua , uno componenti del trio comico The Pills, è il regista di Holy Shoes, nelle sale dal 4 luglio con Academy Two. Nel cast Carla Signoris, Simone Liberati, Isabella Briganti, Denise Capezza, Ludovica Nasti, Raffaele Argesanu e Drefgolddeche.
I personaggi di Holy Shoes sono il risultato di un’attenta osservazione delle dinamiche sociali e psicologiche che legano le persone agli oggetti. Ogni personaggio ha un desiderio specifico che ruota attorno alle scarpe, simbolo di status, potere e identità.
Quindi secondo lei, gli oggetti diventano una sorta di linguaggio?
Esattamente. Gli oggetti sono simboli con cui comunichiamo. Quando non possiamo esprimere la nostra identità attraverso l’arte o altri mezzi, lo facciamo attraverso ciò che possediamo. Le scarpe, per esempio, possono dire molto di noi. Oggi indosso delle Salomon non solo perché sono comode, ma anche perché esprimono una certa grinta che sento parte della mia personalità. Se avessi indossato dei mocassini, avrei comunicato qualcosa di diverso. Con questo film ho voluto approfondire questo rapporto ambiguo e spesso distorto che abbiamo sviluppato con gli oggetti”.
Uno degli aspetti più affascinanti del film è la complessità dei personaggi. C’è un personaggio in particolare con cui si è identificato maggiormente?
Ogni personaggio del film possiede tratti con cui mi sento in sintonia. Tuttavia, se dovessi scegliere uno con cui mi identifico maggiormente, sarebbe Filippetto. Fin dall’inizio della scrittura del personaggio, ho provato una grande gioia e un profondo legame con lui.
Questo tema della fragilità maschile è molto presente nel film. Come ha sviluppato questa idea?
Nella società odierna, agli uomini viene spesso richiesto di apparire forti e invulnerabili, ma la realtà è che molti di loro cercano costantemente approvazione. Nel film, i personaggi maschili sono rappresentati come vulnerabili, sempre in cerca di conferme dall’esterno. Questo tema si manifesta chiaramente nella crisi del machismo e della mascolinità tradizionale, mettendo in luce l’insicurezza che può nascondersi dietro la facciata della forza.
È interessante come le scarpe possano avere un ruolo così centrale. Ha un aneddoto personale legato a questa scelta?
Ricordo che da bambino osservavo sempre le scarpe delle persone. Mi incuriosiva il modo in cui un semplice accessorio potesse rivelare così tanto su una persona. Sebbene le scarpe facciano parte della nostra quotidianità, la scelta del modello da indossare, apparentemente banale, può in realtà riflettere desideri profondi e complessi.
Il film riesca a far emergere pregiudizi attraverso dettagli apparentemente banali come le scarpe. È stata una scelta consapevole?
Gli oggetti di uso quotidiano possiedono la capacità di rivelare i nostri pregiudizi nascosti. Le scarpe, in particolare, rappresentano un elemento di forte impatto. Nel film, osservando le scarpe dei personaggi, lo spettatore forma immediatamente un’opinione sulla loro personalità. Questo espediente narrativo ci costringe a confrontarci con i nostri pregiudizi e a riflettere su come tendiamo a giudicare gli altri basandoci su dettagli superficiali.
Quali sono le scarpe che preferisce vedere indossate dalle donne?
Preferisco le scarpe che esprimono carattere e determinazione. Le ballerine non rientrano nelle mie preferenze; al contrario, gli stivali o le scarpe che trasmettono un senso di forza e risolutezza mi affascinano molto di più. Apprezzo le donne che incarnano queste qualità, e credo fermamente che le scarpe possano rivelare molto sulla personalità di chi le indossa.
La tirannia del desiderio è un concetto potente. Crede che il suo film possa avere un impatto sociale?
Holy Shoes non mira solo a intrattenere, ma anche a stimolare una riflessione critica e profonda. Mi auguro che il film susciti un dibattito su come viviamo il nostro rapporto con gli oggetti e su come questi possano talvolta dominarci. La mia speranza è che gli spettatori escano dal cinema con una nuova consapevolezza e una maggiore comprensione di queste dinamiche.
Dopo un film così complesso, quali sono i suoi progetti futuri?
Ho già in mente una nuova storia. Continuerò ad esplorare il tema del desiderio di identità, ma questa volta non riguarderà il consumismo o gli oggetti. Il nuovo progetto si concentrerà sul desiderio metafisico di essere un’altra persona, sull’atto di fingere di essere ciò che non si è. Questo tema, profondamente pirandelliano, che esplorerà la nostra natura più profonda e i nostri desideri nascosti.