“Sono unico in quanto solo. Sono cresciuto andando a suonare l’organo in chiesa perché era l’unico modo per suonare, io non avevo i soldi, ma non suonavo musica da chiesa. Sono cresciuto tra il sacro e il profano e ancora adesso non ho deciso quale è la strada”. Parola di Zucchero, pseudonimo di Adelmo Fornaciari, che oggi si è raccontato alla Festa del Cinema di Roma e soprattutto lo ha fatto nel film documentario, presentato in anteprima alla Festa, Zucchero-Sugar Fornaciari di Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano, in sala il 23, 24, 25 ottobre distribuito da Adler Entertainment in oltre 300 sale.
“Da piccolo mi hanno portato via da mia nonna e questo mi ha fatto soffrire”
“Avevo chiaro che non volevo fare un docufilm celebrativo”, dice il grande cantautore e musicista italiano. Nato in un paesino della bassa emiliana, confessa di sentirsi da sempre uno sradicato. “Da piccolo mi hanno portato via da mia nonna Diamante e questo mi ha fatto molto soffrire. Sono dovuto andare in Versilia dove in effetti non mi sono mai integrato. Lì però ho conosciuto mia moglie e sono nate le mie figlie. Fatto è che ancora adesso ho la sensazione di non sentirmi mai a casa. Quindi ho molti pensieri malinconici. C’è in me una parte malinconica, infatti fin da ragazzino sono stato attratto dal blues. Penso che la malinconia sia in un certo senso creativa, basta che non si trasformi in depressione perché è tosta superare certi momenti”.
“Ho vissuto molti momenti bui e una lunga depressione”
Momenti bui che vengono fuori in questo doc che racconta non solo la sua musica, ma anche la sua parte più privata e la sua lunga depressione, durata per ben cinque anni. “Non sapevo dove andare a stare- racconta-. Abitavamo a Forte dei Marmi dove stavo con le mie figlie e la mia ex moglie. Ho provato a tornare a Reggio Emilia, in campagna dai miei, ma mio padre viveva nel suo mondo: io tornavo alle tre di notte e lui voleva che mi svegliassi alle sei di mattina per aiutarlo nei campi. Sono durato una settimana.
Quando lo intervistarono e gli chiesero se gli piaceva la mia musica, lui rispose che amava il valzer e la mazurca. In pizzeria con gli amici mi lamentavo perché non sapevo dove andare. Combinazione mi sentì il sindaco di Pontremoli (ndr. Zucchero attualmente vive ancora lì), un paesino sull’Appennino, e mi mise alle calcagna uno dei suoi.
Per un anno vidi borghi e mulini. Più erano belle le cose e più mi sentivo solo, perché se non puoi condividere le cose con chi ami è inutile. Un giorno vidi un vecchio mulino tutto diroccato e decisi di prenderlo. Era proprio a metà tra Forte dei Marmi e Reggio Emilia, quindi tra la casa delle mie figlie e quella dei miei. Mi sono sentito meno dilaniato. Mi sono ricostruito mettendo a posto la casa, stando con i contadini, andando dai rigattieri a scegliere i mobili, in un paio d’anni stavo già meglio”.
Nel doc le testimonianze di di Bono, Sting, Paul Your e tanti altri
Tante le testimonianze presenti nel doc: Bono, Sting, Brian May, Paul Young, Andrea Bocelli, Salmo, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Roberto Baggio, Jack Savoretti, Don Was, Randy Jackson, Corrado Rustici. “Stasera lo vedrò sul grande schermo e sono molto emozionato. I miei colleghi con le loro testimonianze sono stati anche troppo generosi”, dice Zucchero. E poi sottolinea quanto per lui sia importante soprattutto nell’amicizia la genuinità: “Ho avuto la fortuna di essere molto amico di Pavarotti, con il quale poi ho collaborato. Lui è stato un faro da seguire. Pur essendo planetario poi quando tornava a casa giocava a briscola con i suoi amici di infanzia, parlava in dialetto, si faceva portare il parmigiano a New York ed era molto legato alle sue radici. È rimasto genuino e sé stesso così come Sting e Bono. Per me la genuinità è alla base di tutto. Puoi essere il Re di Inghilterra, quel che mi fa dire vale la pena coltivare questa amicizia è sentire che la genuinità è rimasta. Fuori dal palco devi rimanere genuino”.
“Con Donne, la mia carriera ha avuto una svolta”
Sull’inizio della sua lunga e bellissima carriera racconta: “Mi sono chiesto come ho fatto. Ci vuole costanza e tenacia, ma nel mio caso è stata un’esigenza. Io sono partito con l’idea di voler fare il musicista, ma non miravo a essere Elvis Presley, né pensavo che mi avrebbero fatto incidere un disco. I primi anni sono stati duri, bussavo alle porte dei discografici e mi rimandavano a casa. Le ho provate tutte. Fino a che è arrivato il brano Donne. Con Donne, pur essendo arrivato penultimo al Festival di Sanremo, grazie alle radio che continuavano a mandare quella canzone mi sono fatto conoscere. Come ho fatto? Oltre al talento ci vuole una componente di fortuna.
Tra il 1990 e il 1992 ero talmente depresso che solo l’idea di stare meglio mi spaventava. Nonostante questo mi sono capitate cose incredibili: mi ha chiamato Brian May perché si era innamorato di Oro, incenso e birra per partecipare al tributo a Freddie Mercury, scrissi Miserere con Pavarotti, mi chiamò Sting, Senza una donna è nata quasi per caso con me e Paul Young, diventando numero uno in tutto il mondo anche in paesi inimmaginabili. Tutto ciò proprio in un momento in cui stavo malissimo. Ora va molto meglio. Per oggi”.
Ok per oggi. E il futuro? “A fine marzo partirà il tour in tutta Europa. A fine giugno arriviamo a San Siro, Bologna e poi torniamo in giro per America e Sud America. Un tour che si chiama Overdose d’amore e finirà nel 2025. Non ho mai finito le regole del business. Prendo spunto da Eric Clapton e da gente che suona, soprattutto ora che la discografia sta soffrendo molto. Per me viene prima il live, della strategia del music business. Per me il calendario è sempre aperto”.