Presentato alle Giornate degli Autori- Notti Veneziane il film di Adriano Valerio racconta la storia di Fouad (Fouad Miftah), figlio dell’Imam di un quartiere popolare di Casablanca, in Italia senza documenti da dieci anni e in attesa di cure mediche. Dall’altra parte c’è Daniela (Daniela Brandi), proveniente da una famiglia pugliese esoterica dell’alta borghesia. Ex tossicodipendente, prova una profonda solitudine.
Si trovano per caso in Umbria. Ed entrambi, senza esitazione, affermano di essersi salvati la vita reciprocamente. Quell’incontro è l’inizio di un amore che li aiuterà a guarire al ritmo lento delle stagioni e dei riti quotidiani. S’intitola Casablanca, un titolo che riporta immediatamente a un grande classico del cinema.
“Il mio è per prima cosa un film d’amore, come Casablanca”
Alla domanda sulla scelta del titolo, al di là della relazione con la città di Casablanca, il regista risponde che il suo è soprattutto un film d’amore, proprio come il film di Michael Curtiz che ha reso immortali Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. “Volevo anche giocare con i generi e questo si vede già dal titolo”, risponde il regista. E poi: “Casablanca è la storia d’amore tra due persone che hanno costruito una famiglia atipica, un’intimità nella quale ognuno riesce grazie all’altro ad affrancarsi dall’esclusione della società. Ho conosciuto Fouad in un bar di Gubbio, nel 2016. Mi ha raccontato la sua storia e ho immediatamente sentito il desiderio di farne un documentario. Ho filmato lui e Daniela dal 2016 fino al 2022, tra l’Umbria, Parigi e Casablanca, cercando di cogliere i momenti più salienti della loro relazione, ma anche la profondità delle loro anime, tutte le sfumature di sofferenza, umorismo e poesia che ne hanno segnato le vite”.
Ne esce fuori un film ibrido: a metà strada tra documentario e finzione
“È un documentario nel senso che ci sono molte interviste e poi alcune parti loro devono reinterpretare quello che gli è successo– racconta-. Ho cercato dei luoghi che restituissero in qualche modo il mondo immaginario dei personaggi come la ruota panoramica o l’albero di natale. In questo film mi sono affezionato a una persona e a una storia. Quando ho iniziato a raccontarla ero semplicemente legato a quello che avveniva a questi esseri umani. Non era una questione politica. Poi nel tempo mi sembrava importante e doveroso dare un risalto politico alla storia. Raccontare le barriere che ci sono. E sicuramente c’è una forma di indignazione nei confronti dei provvedimenti politici del governo sui migranti ed il riconoscimento di una drammaturgia del reale molto forte: in quel momento Fouad e Daniela stavano organizzando un finto matrimonio, affinché Fouad ottenesse un permesso di soggiorno. Ma spesso, quando si sceglie di raccontare una storia, c’è un richiamo più profondo e inconscio, difficile da razionalizzare”.
Adriano Valerio racconta l’immigrazione attraverso una storia d’amore
Infine conclude: “Ne L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master – un libro per me molto importante – ci sono alcuni personaggi che vengono percepiti come bidimensionali dagli altri abitanti del villaggio (l’ubriacone, il tossicodipendente, il violento, l’avaro, la prostituta) ma dei quali, dopo la morte, impariamo a conoscere tutte le sfumature di sofferenza, umorismo e poesia che hanno segnato le loro vite. È esattamente questo che mi hanno chiesto Fouad e Daniela: di mostrare la profondità delle loro anime, di riscattarli dal loro stigma di emarginati e di restituire loro complessità”.