Pablo Larraìn è uno dei migliori registi della sua generazione, insieme a Yorgos Lanthimos e Harmony Korine, tutti e tre presenti a questa edizione del festival del cinema di Venezia, senza attori di grido causa lo sciopero statunitense (e anche un po’ chissenefrega) ma con un parco film e registi da fare invidia per un anno ai tre festival principali.
L’ultima volta che era stato qui il cileno Pablo aveva portato “Spencer”, uno spaccato sulla vita della principessa Diana. Non è nuovo quindi a film “biopic”, (vedasi anche “Jackie”) o a racconti sulla disastrosa storia della dittatura nel suo paese, come lo splendido, inarrivato, “Post Mortem” e “No”, sui moti rivoluzionari.
Ma con El Conde è la prima volta che si misura con un “genre”, quello satiresco/vampiresco/horror/noir e con il bianco e nero, forse ultimo “tabù” dal quale liberarsi. Il risultato è strepitoso, geniale, surreale, schifoso e tremendo. Se non prende un premio mi mangio il cappello.
L’ispirazione per realizzare una satira vampiresca e noir su Pinochet
Larraìn ha dichiarato che l’ispirazione per la struttura narrativa gli è venuta visitando un museo dove era conservata la divisa da generale di Pinochet, sotto una teca, illuminata con una sorta di luce da oltretomba e da lì gli è balenata l’idea che il dittatore potesse essere trasfigurato in una sorte di Conte Dracula post mortem.
Sulle prime voleva farne una serie tv, dato che Netflix gli aveva finanziato il progetto, ma lo stesso streming service ha poi preferito, e meno male, il film. Girato in una zona remota della Patagonia, con un bianco e nero che ricorda “Il settimo sigillo” ed “Ed Wood”, ma ancora più estremo e patinato con sontuose immagini da parte di Ed Lachman (il direttore della fotografia), la storia si impernia sull‘impunità, uno dei temi ricorrenti della filmografia di Larraìn.
Le dichiarazioni di Pablo Larraìn
“La cosa incredibile è che Pinochet sia morto ricco, impunito, libero e addirittura osannato da qualcuno” dice Pablo in conferenza stampa “e l’unico modo per raccontare questo orrore era trasformarlo in vampiro, quello che lui è veramente stato, il vampiro del Cile”. Satira, colpi di scena, orrore e crudeltà “non volevo creare nessuna empatia con quest’uomo” ha dichiarato ancora il regista. Ogni dittatura è sbagliata e, purtroppo, vive con noi ben oltre le morti dei dittatori sembra dire Larraìn, ma viene un momento in cui un popolo, un’umanità, se ne deve liberare, in un modo o nell’altro.
La trama del film El Conde di Pablo Larrain
Pinochet è magistralmente incarnato dall’87enne attore Jaime Vadell (coppa Volpi annunciata, “volevo solo lui per questo ruolo” ha dichiarato il regista “ma è già molto vecchio, quindi o lo facevo ora questo film o mai più”) un Nosferatu volante e desideroso di morire dopo aver finto la sua morte ed essere arrivato a 250 anni accompagnato solo dalla sua fedele moglie. I suoi cinque figli infatti sono avidi e smidollati esseri interessati solo all’eredità. Sarà l’ingresso di una suora a scardinare i piani di tutti e la rivelazione della voce narrante a fornire una nuova epifania agli spettatori. Ma non spolieriamo nulla, anche se questo è uno di quei film che andrebbe visto almeno 2 volte. Una per l’estetica magistrale, l’altra per la regia e la narrativa. Non si può poi che lodare gli attori, da Alfredo Castro suo attore feticcio nei panni del servo Fyodor, poi Gloria Munchmeyer (la moglie), e Paula Luchsinger (la suora).
La trama di El Conde è funzionale al messaggio, ma è anche vero che oltre a questo, ci resta la sensazione che il film sia anche stato un enorme playground per Larrain e i suoi attori, che tra voli pindarici e meno, finalmente inchiodano un uomo che avrebbe dovuto pagare il suo tributo alla Storia.