Il racconto dell’ancella è un romanzo distopico scritto nell’85 della canadese Margaret Atwood, tornato alle cronache per il grande successo della serie televisiva “The Handmaid’s Tale”, che ha ispirato i cortei di protesta di molte donne in tutto il mondo. Al TeatroBasilica dal 13 al 16 aprile, Viola Graziosi porta in scena il romanzo con la traduzione di Camillo Pennati per Ponte alle Grazie, consulenza letteraria di Loredana Lipperini, consulenza artistica di Laura Palmieri, musiche originali di Riccardo Amorese, regia di Graziano Piazza, produzione di Teatro della città.
“È stata una chiamata”, dichiara Graziosi. “Prima telefonica, quando Laura Palmieri mi ha proposto un reading per l’8 marzo 2018 di Radio 3, su Il racconto dell’Ancella, nella bella riduzione di Loredana Lipperini. Poi la chiamata interna, quella della voce. “Quando uscirò di qui, se mai sarò̀ in grado di raccontarlo in qualsiasi forma, anche nella forma di una voce che racconta…” dice June, la protagonista del racconto di Margaret Atwood. Sì, la voce va lontano, la voce arriva ovunque…ma la voce non basta: ci vuole il corpo. Un corpo di donna: l’oggetto del contendere. Così in scena, divento quel Corpo che rinnova la sua domanda di vita, a qualunque costo. Una domanda condivisa insieme, una Catarsi che è speranza”.
La storia e’ nota. In un futuro prossimo le donne sono sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle uniche ancora in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Un “nuovo mondo” che attraverso le donne e il loro corpo cerca la sua legittimazione.
Per il regista Graziano Piazza, l’ancella porta in sé l’urgenza della domanda che brucia, la nostra responsabilità. “Ci interroga sulla libertà, su ciò che ne facciamo e soprattutto su quale sia realmente la libertà delle donne. Diventa un simbolo, ma anche l’incubo di un futuro prossimo possibile, un monito che ci tiene in guardia. Nella nostra esperienza di esseri umani ci ritroviamo talvolta a cogliere i segni del cambiamento senza ascoltarli troppo, demandando la nostra responsabilità ad altri e pensando che tutto procederà sempre più o meno bene. Poi quando è ormai troppo tardi, ci accorgiamo che il cambiamento ci ha superato e siamo diventati vittime della nostra stessa indolenza. Come artisti invece l’urgenza è testimonianza. Essere il cambiamento in atto. Viola Graziosi diviene corpo della memoria presente, segno inciso nel suono della parola, negli occhi che ci guardano da un luogo indefinito. Tempo che travalica le ere. E ci troviamo catapultati lì dove non avremmo mai voluto, eppure così vicini a noi, ora”.
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