Presentato in anteprima mondiale alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2022, proiettato al 45° Festival di Toronto nella sezione Contemporary World Cinema e al Palm Springs International Film Festival 2023, “Il frutto di una tarda estate” verrà proiettato come film di apertura della 32° edizione del FESCAAAL (Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina) e domenica 19 Marzo presso il Cinema Fondazione Prada a Milano.
La regista franco-tunisina Erige Sehiri, qui al suo primo film di finzione, dirige una storia immersa nella luce calda dell’estate che parla di solidarietà femminile, resistenza contro la tradizione patriarcale e conflitto tra generazioni, ambientata in un suggestivo frutteto tunisino dove un gruppo di donne e ragazze si dedica alla raccolta dei fichi al termine della stagione estiva. Durante la giornata il frutteto diventa teatro di emozioni, un luogo dove transitano i sogni e le speranze di una generazione moderna e più libera, accanto ad una precedente più sconsolata, ancorata alle tradizioni.
“Stavo affiggendo sui muri di una scuola superiore dei manifesti per pubblicizzare un casting in una regione rurale del nord-ovest della Tunisia. Volevo girare un film sui giovani che gestiscono una stazione radio locale ed è stato allora che ho incontrato Fidé e sono rimasto completamente incantata da lei. Non era particolarmente interessata a venire al casting, ma alla fine ha fatto il provino. Le ho chiesto quali fossero i suoi programmi per l’estate e lei mi ha detto che avrebbe lavorato nei campi, così mi ha invitato a vederla al lavoro un giorno. Sono andata a vedere lei e tutte le altre lavoratrici equesto ha cambiato completamente la mia idea sul film che volevo fare”.
Così la regista ha deciso di dare un volto a queste lavoratrici impegnate nella raccolta dei fichi. “Sebbene Fidé di solito raccolga ciliegie, mele o melograni, ho deciso di scegliere i fichi perchè mio padre viene da un villaggio di questa regione dove la coltivazione dei fichi è molto diffusa. Sono cresciuta conoscendo il ciclo di coltivazione e raccolta dei fichi. È anche un frutto molto sensuale, fragile, ma con foglie forti; un po’ come i personaggi del film. Volevo costruire visivamente l’idea che anche queste ragazze avessero bisogno d’aria nella loro vita, inevitabilmente soffocate dalla mancanza di opportunità e da un ambiente familiare conservatore”.
Il film è stato girato all’aperto, con luce naturale, una sola macchina da presa, nessuna attrezzatura e un solo set principale. “Ciò significava che dipendevamo
completamente dalla natura e dal tempo. Anche se avevamo uno spazio molto limitato e girare sotto gli alberi significava meno possibilità di messa in scena, avevamo comunque una sensazione di grande libertà”.
La regista precisa di aver scelto fin dall’inizio attori e attrici non professionisti. “Volevo lavorare con persone di questa regione, che parlano il particolare dialetto di questo originario villaggio berbero. Non si sente spesso questo accento nel cinema tunisino o più in generale nella lingua araba, che infatti lo irride, perché
potrebbe sembrare privo di finezza. Quindi ho pensato che questo fosse unmodo per rendere omaggio a queste persone e dar loro finalmente voce. Era impensabile che degli attori imitassero questo accento”.
Il risultato è un film capace di raccontare in modo profondamente genuino storie, percorsi di vita, personaggi che guardano alla modernità con la consapevolezza della loro mancanza di opportunità. “Fidé lo sottolinea quando chiede com’è la vita a Monastir, se ci sono turisti, se c’è lavoro. In questa regione le ragazze vanno a scuola e poi lavorano nei campi; questo è tutto quello che c’è”.