Per fortuna ci sono ancora i film con le parole, senza effetti speciali, duelli, morti, battaglie e scontri all’ultimo sangue. Ci sono film delicati e poetici come questo “Drive my car” per la regia di Ryûsuke Hamaguchi con Hidetoshi Nishijima, Toko Miura, Reika Kirishima, Masaki Okada, Perry Dizon, tutti, semplicemente, perfetti. Adoro degli artisti asiatici la loro compostezza, la misura esatta dei movimenti, quasi fossero la sezione aurea della recitazione. Hanno sguardi e silenzi attivi, parte integrante della loro comunicazione.
Tratto da un racconto di Murakami Haruki presente nella raccolta “Uomini senza donne”, il film ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al festival di Cannes mentre il regista qualche mese fa ha vinto anche il Gran Premio della Giuria a Berlino con il precedente Il gioco del destino e della fantasia (Wheel of Fortune and Fantasy), un film antologico che ha sviluppato nel corso di un workshop.
Il racconto breve di Murakami diventa un road movie atipico di quasi tre ore che vorresti non finisse più. Uno di quei rari film la cui lunghezza sulla carta si rivela perfino troppo corta. Che fine fanno i personaggi dopo? Dove vanno? Con chi? Sboccerà l’amore oppure no?
La trama ci pone di fronte un intreccio pericoloso di morte, senso di colpa, redenzione, lasciar andare, rapporti irrisolti, tradimenti e amori inconfessati, la vita insomma. Attraverso i dialoghi dello Zia Vanja di Cechov e gli occhi di una Saab rossa percorriamo la vita di Kafuku, un attore e regista teatrale che non riesce a superare la perdita della moglie Oto. Accettando di dirigere Zio Vanja per un festival di Hiroshima accetta anche di lasciare il volante della sua amata auto a Misaki, una giovane donna silenziosa incaricata di fargli da autista
Viaggio dopo viaggio, superate le reciproche riluttanze, Kafuku e Misaki lasceranno affiorare segreti e confidenze nascosti dalle macerie della responsabilità di vivere.
Nasce una profonda e altissima riflessione sul potere del linguaggio, sui labirinti dell’amore, sulla capacità di rapportarci alle altre persone, sull’uso del teatro come esperienza maieutica, non a caso ad un certo punto il protagonista rivela di odiare Cechov, perchè, dice, “tira fuori da te tutto di te”.
Dice Hamaguchi: “Perché ho voluto girare un film basato sul racconto di Murakami? Perché in Drive My Car le interazioni tra Kafuku e Misaki, i due personaggi principali, avvengono all’interno di un’auto. E questo ha innescato i miei ricordi. Certe conversazioni, conversazioni intime, possono nascere solo all’interno di quello spazio chiuso e in movimento. Un luogo, in realtà un non-luogo, che ci aiuta a scoprire aspetti di noi stessi mai mostrati a nessuno. O pensieri che, prima, non sapevamo esprimere con le parole”.
Grande appassionato dei road movies di Kiarostami e Wenders, in particolare di Paris, Texas (che, se non avete visto, dovete assolutamente vedere) il regista afferma che solo questa dimensione poteva dare al film i toni che stava cercando, ovvero quelle distanze e quei silenzi interiori che vengono poi colmati dal viaggio e dalle parole del racconto personale, che ad un certo punto viene fuori tra i due protagonisti.
Entrambi infatti vivono “bloccati” dai dolori precedenti. Lui non riesce a lasciar andare la moglie morta per un’emorragia cerebrale di cui lui si incolpa per non essere tornato prima a casa a salvarla, lei paga la tragedia di una madre odiata che crede di aver lasciato morire sotto una frana. Entrambi assassini inconsapevoli di fronte invece ad un assassino reale che si nasconde, consapevolmente e tranquillamente, tra gli attori.
Ogni fotogramma potrebbe essere un quadro, ogni dialogo potrebbe essere riascoltato e mandato a memoria. Come mi disse una volta un amico “non c’è nulla oggi che Shakespeare non abbia già detto e inventato, ma non c’è nemmeno nulla che gli scrittori russi non abbiamo detto e scritto anche meglio”.
Non è un opera che si può perdere quindi andate a cercarlo e godete di ogni minuto di visione.
Il film è distribuito dalla Tucker Film, fondata nel 2008 dal CEC di Udine e da Cinemazero di Pordenone. In questi anni è riuscita a ritagliarsi uno spazio ben definito nel panorama italiano della distribuzione indipendente. Due sono i principali filoni operativi: le produzioni legate al territorio (come Zoran il mio nipote scemo di Matteo Oleotto e TIR di Alberto Fasulo) e le opere asiatiche. Il secondo filone è nato e si è sviluppato in diretta connessione con il Far East Film Festival, il più importante evento dedicato al cinema popolare asiatico in Europa (di cui il CEC è organizzatore). Tra i numerosi titoli del catalogo, ricordiamo Departures di Takita Yojiro (Premio Oscar 2009 come miglior film straniero), Poetry di Lee Chang-dong (Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2010), A Simple Life di Ann Hui (Coppa Volpi 2011 per la miglior interpretazione femminile a Deanie Ip), il grande Progetto Ozu (6 tra le maggiori opere del maestro giapponese restaurate e digitalizzate dalla storica major giapponese Shochiku), Ritratto di famiglia con tempesta di Kore-eda, Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk, Burning – L’amore brucia di Lee Chang-dong.
Tra le acquisizione più recenti, sei film di Wong Kar Wai freschi di restauro e riuniti nella monografia Una questione di stile (In the Mood for Love, Happy Together, Angeli perduti, Hong Kong Express, Days of Being Wild, As Tears Go By) e due titoli di Hamaguchi Ryusuke, nuovo talento del cinema giapponese: Il gioco del destino e della fantasia (Orso d’Argento al Festival di Berlino 2021) e appunto Drive My Car (Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2021).