“Non devi mai avere paura di quello che stai facendo se quello che stai facendo è giusto”. Rosa Parks.
La data del 1° dicembre è legata a due eventi fondamentali per la storia dei diritti civili e quindi per la storia dell’umanità in genere. Nel 1955, nello stato americano dell’Alabama, Rosa Parks rifiuta di alzarsi da un posto d’autobus riservato ai bianchi e viene arrestata scatenando, con il suo atto di disobbedienza civile, una serie di eventi che portano, nel 1964, all’approvazione del Civil Rights Act, la legge federale che pone fine alla segregazione e mette fuori legge la discriminazione razziale. In Italia, nel 1970, viene approvata la legge sul divorzio.
Questi fatti, pure appartenendo ad ambiti distinti e ponendosi su piani diversi, hanno entrambi comunque sancito delle conquiste di civiltà e condividono un ulteriore aspetto. Prima di essi, infatti, non solo il governo americano riteneva giusto che gli afroamericani avessero meno diritti e potessero subire delle odiose limitazioni della libertà personale, mentre quello italiano considerava inscindibile il vincolo matrimoniale, ma anche e soprattutto la maggior parte dei cittadini delle due entità nazionali riteneva che fosse giusto, da una parte, discriminare una persona per il colore della pelle, e che fosse giusto, dall’altra, non permettere a due persone di separarsi anche se la loro unione fosse divenuta causa di sofferenze.
Per quanto riguarda l’Italia, bisogna sottolineare come in quel periodo fossero frequenti i casi di violenza domestica. Basta dare un’occhiata a “50 anni di divorzio” (https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2020/11/50-anni-di-divorzio-a–0c4c03cf-5541-423d-8dff-cfe666e211fe-ssi.html), lo Speciale del Tg1 trasmesso in occasione dell’anniversario dell’approvazione della legge, e ascoltare le donne dell’epoca ammettere candidamente che questo fenomeno fosse piuttosto diffuso. Il reportage di Elisabetta Mirarchi ha il merito di portare alla luce anche la poco nota vicenda di impasse legale e conseguenti difficoltà sociali delle oltre 400.000 “vedove bianche”, abbandonate dai mariti emigrati all’estero e scomparsi senza lasciare traccia di sé né, tantomeno, alcun tipo di sostegno economico alle famiglie rimaste in Italia. A queste si aggiungono la miriade di situazioni di degrado e povertà in cui versavano migliaia di donne figlie del dopoguerra a cui era stata preclusa la possibilità di un’istruzione proprio in quanto appartenenti al genere femminile. Molti matrimoni erano, in sostanza, un inferno per chi li viveva.
In sostanza, in entrambi i casi, che si parli di segregazione razziale o che si parli di divorzio, come spesso avviene in tema di diritti civili, si è sempre teso a confondere il piano dei diritti con quello della morale.
Nel 1961, Henry Lyon Junior, celebre pastore di Montgomery (proprio dove si era verificato l’episodio di Rosa Parks), affermava durante un sermone: “I am a believer in a separation of the races, and I am none the less a Christian” (Credo nella separazione delle razze e sono non per questo meno cristiano). Alla sua dichiarazione seguirono gli applausi dei fedeli (https://www.npr.org/2020/07/01/883115867/white-supremacist-ideas-have-historical-roots-in-u-s-christianity?t=1606839338791).
I trascinatori di masse con pochi scrupoli, pur di portare di portare voti alla loro causa, da sempre hanno giocato a confondere le acque. E così va a finire che molti pensino, si convincano e quindi agiscano in modo che ciò che è giusto per loro stessi debba esserlo anche per tutti gli altri. Secondo questo schema, gli americani razzisti erano profondamente convinti di essere nel giusto, con la schiavitù prima e la segregazione dopo, legittimati non solo dalla legge ma anche dalla morale comune. Gli italiani accettavano che molte donne e uomini fossero intrappolati in legami dolorosi per loro stessi e per i figli.
Gli Umani del terzo millennio guardano alle immagini e ai proclami di quell’epoca come a rappresentazioni di un altro mondo popolato da barbari.
Per quanto riguarda l’Italia e il suo rapporto con la “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” (legge 1º dicembre 1970, n. 898), in mezzo secolo non solo sembrano essersi aperti squarci di comprensione anche da parte delle istituzioni della Chiesa Cattolica (https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/eucaristia-e-divorziati) ma, nel sentire comune, senza temere di offendere la sensibilità di nessuno, possiamo dire che il divorzio è diventato una pratica normale e diffusa o comunque non più condannabile.
Per questi casi si può, anzi, si deve serenamente affermare che la concessione di diritti a una categoria non solo non ha tolto diritti alle altre e non ha causato danni al tessuto sociale e culturale delle comunità, ma ha anche reso più facile la vita di tutti. Ci rendiamo conto di quanto spesso l’opposizione all’estensione di un diritto per un gruppo poggi su basi inconsistenti e di tipo esclusivamente strumentale quando la legge che lo tutela entra in vigore: nella vita di molte persone non cambia assolutamente nulla, molti neppure si accorgono del cambiamento e a nessuno vengono tolti i diritti acquisiti, eppure dopo un po’ tutti iniziamo a percepire gli effetti benefici di quella concessione per l’intera comunità.
I diritti civili insieme a quelli politici, economici, sociali e culturali costituiscono il corpo dei diritti umani. I diritti umani e il concetto di democrazia sono strettamente legati e interconnessi al punto che le Nazioni Unite affermano che “i valori di libertà, il rispetto dei diritti umani e il principio di tenere elezioni periodiche e veritiere a suffragio universale sono elementi essenziali della democrazia. A sua volta, la democrazia fornisce un ambiente per la protezione e l’effettiva realizzazione dei diritti umani”. Riconoscere quindi un diritto negato anche ad una sola categoria di esseri viventi è un modo per rafforzare la tutela dei diritti di tutti e di ciascuno per rivitalizzare la democrazia. Per questo, se pure sembra essere un concetto scontato, è utile e necessario ribadirlo, soprattutto quando ci accorgiamo che le basi della democrazia sembrano vacillare e la loro tenuta è messa in pericolo da movimenti destabilizzanti. Che i diritti di uno sono i diritti di tutti bisogna affermarlo ogni giorno, oggi con più forza di prima.