“Qualcosa di meraviglioso”, nei cinema italiani il 5 dicembre con Bim distribuzione, racconta la storia straordinaria di Fahim. Costretto a fuggire dal Bangladesh, dove lascia la sua famiglia, il giovane Fahim raggiunge Parigi insieme a suo padre. Poiché viene rifiutato loro asilo, vivono come immigrati clandestini e piombano in una spirale di vagabondaggio e disperazione. Con un colpo di fortuna, però, Fahim viene presentato a uno dei più importanti coach di scacchi di Francia, Sylvain, Gérard Depardieu, e nel 2012 diventa campione under 12 di Francia pur essendo ‘sans papier’. La vicenda del giovane bangladese attirò l’attenzione dell’allora ministro François Fillon che intervenne per regolarizzare la situazione di Fahim e della sua famiglia.
Adattamento del libro autobiografico scritto da Fahim Mohammad e pubblicato nel 2014, con Qualcosa di meraviglioso, il regista Pierre-François Martin-Laval, conosciuto in Francia come Pef, passa dalla commedia immaginaria di Les Profs e Les Profs 2 al dramma realistico. Il film si apre con materiali di repertorio sugli scontri del maggio 2011 tra le forze dell’ordine e i manifestanti a Dacca, capitale del Bangladesh, prima di scivolare, senza preavviso, nella finzione.
Pef riesce a raccontare con leggerezza, ma con tratti di profonda empatia e umanità, le condizioni dei migranti su temi quali l’accoglienza e l’integrazione socio-culturale. Una favola che si trasforma in un atto di accusa contro l’approccio bipolare della narrazione mediatica che, puntando i riflettori sul momento dello sbarco e sulle tragedie in mare, falsifica una realta molto più complessa. Nel processo di decostruzione sociale dello straniero, gli immigrati vengono disumanizzati, rappresentati senza personalità.
“E necessario cambiare la percezione collettiva sugli immigrati”, tiene a precisare Pef. “A partire dall’immagine che li ritrae come individui devianti fino a quegli atteggiamenti di commiserazione verso la categoria subalterna dei “meno fortunati”.
Ma Qualcosa di meravigliso non è solo un film sull’immigrazione. Commuove, coinvolge e senza sentimentalismi mette in scena una toccante ode al potere salvifico dello sport, splendida metafora della vita che ti insegna a compiere sacrifici, a credere in degli ideali, a lottare per qualcosa, a rialzarti dopo una caduta.