E’ stato presentato oggi alla Festa del Cinema di Roma Gli anni amari, il film di Andrea Adriatico sulla vita dell’attivista gay Mario Mieli vissuto negli anni ’70.
Gli anni amari rievoca la breve vita di Mieli fino al suicidio: “Mieli era un genio, che ci ha sedotto, – spiega il regista – come riusciva a sedurre tutti coloro con cui entrava in relazione. Ma era anche un ragazzo immerso in una profonda solitudine, quella in cui si è ritrovato per l’ennesima volta quel giorno di marzo dell’83 in cui, a soli 30 anni, ha deciso di togliersi la vita”. Il film muove i suoi passi dall’austero liceo milanese in cui Mario esprime già con coraggio la propria personalità chiedendo di farsi chiamare Maria, e dal rapporto ambivalente con la ricca famiglia di industriali. Un viaggio a Londra indica a Mario la chiave futura del suo attivismo: la lotta politica attraverso la teatralità e il travestitismo: “i giorni nostri hanno completamente perso quel senso rivoluzionario – dice il protagonista esordiente Nicola Di Benedetto –, quella rabbia intelligente che si è andata a disperdere. Gli anni amari è necessario per riportare in primo piano una figura di cui finora si conosce solo qualche immagine sfocata, anzi pixelata”.
Da quel momento la vita di Mario non ha soste: la prima manifestazione italiana di omosessuali nel 1972 a Sanremo; la pubblicazione presso Einaudi di Elementi di critica omosessuale, pietra miliare negli studi di genere; i comizi in cui arringa le folle al raduno del Parco Lambro o a Bologna nel 1977 quando ruba la scena a Dario Fo; la trasmissione Rai in cui, con tacchi e trucco, intervista gli operai dell’Alfa Romeo sull’omosessualità. Spiega Grazia Verasani, autrice della sceneggiatura con Stefano Casi e Adriatico, e anche attrice nel ruolo di Fernanda Pivano: “Mieli è stato il promotore di un movimento per la liberazione omosessuale che nacque da una volontà di cambiamento sociale, inclusi l’utopia, il sogno, e un modo ideale, visionario e creativo di mettere il personale e il politico sullo stesso piano. Il film racconta questo clima irripetibile attraverso di lui”.
Ma c’è anche la vita privata: la devozione esoterica inseguendo una proclamata discendenza dai faraoni; la droga e i ricoveri negli ospedali psichiatrici; una fitta rete di amici o amanti, come il giovanissimo cantautore Ivan Cattaneo, l’architetto Corrado Levi e il pittore Piero Fassoni. E ci sono, soprattutto, gli anni ’70, “quei vitali, difficili, creativi, dolorosi e rimossi anni ’70”, conclude Adriatico: una storia collettiva di impeto libertario e colorate manifestazioni giovanili, sullo sfondo degli anni di piombo e di un’aspirazione rivoluzionaria.
Merita una menzione speciale la colonna sonora del film: ci porta nelle sonorità italiane, più o meno conosciute, degli anni 70 che accompagnano la vita del protagonista, e che attraversano molti generi esemplari di quell’epoca (“anche se alcuni non hanno concesso le loro canzoni a causa dell’argomento trattato nel film”, rivela Adriatico). Le prime scene del giovanissimo Mario Mieli sono accompagnate da Abracadabra (1969), che ci introduce con la voce di Sylvie Vartan in un’atmosfera scanzonata e frizzante, e da Il primo giorno di primavera (1969) dei Dik Dik, che unisce il testo di Mogol e Minellono alla musica di Mario Lavezzi sostenuta dalla famosa introduzione dell’organo Hammond. Con Non mi rompete (1973) del Banco del Mutuo Soccorso entriamo in pieno negli anni 70 più sperimentali. Al rock progressivo del gruppo romano si affianca quello più irriverente del lombardo Ivan Cattaneo, che nel film – dove è presente anche come personaggio – compare con due suoi brani: Polisex e Darling (1975), quest’ultimo con il testo scritto proprio da Mario Mieli. Ma gli anni 70 non sono solo sperimentazione. Trionfa il pop, che nel film ha la voce di Raffaella Carrà che canta una delle sue maggiori hit, Rumore (1974), e di Paolo Frescura con la romantica Bella Dentro (1975). Chiude la carrellata – e chiude il film – la voce di uno degli artisti più originali e marginali, il primo sperimentatore di musica elettronica, Faust’O, che irrompe con la martellante Piccole Anime (1980) a chiudere il decennio delle tante musiche e della vita di Mario Mieli.