E’ quasi una detective story “Fellini Fine Mai” di Eugenio Cappuccio presentato oggi alla 76a Mostra del Cinema di Venezia. Un biopic che esce dal genere del documentario per indagare qualcosa di ancora non svelato del Maestro. In effetti di misteri Fellini ne ha lasciati parecchi, come la sua idiosincrasia nello scrivere “fine” al termine delle pellicole. Ma se “l’unico vero realista è un visionario” grandi risposte non si troveranno mai.
A Cappuccio la Rai si è rivolta per onorare Fellini nel centenario dalla nascita attraverso un documentario che attingesse ai materiali di Rai Teche. Infatti, il regista de “Il caricatore” e “Volevo solo dormirle addosso”, è stato assistente alla regia in “Ginger e Fred”. Cappuccio accetta la sfida e si fa protagonista del racconto, incentrato su due grandi temi che va a indagare con interviste e testimonianze: il rapporto con Rimini e il caso dei due film mai realizzati, “Viaggio a Tulum” e “Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet”.
Dunque Rimini, dove Fellini è nato e ha vissuto fino a 19 anni, dove c’è in radice l’immaginario immortalato in “Amarcord”, dove è ambientato “I vitelloni” e dove i due si sono conosciuti nel 1981, un ragazzino appassionato di cinema e il mostro sacro e amico di famiglia. Un drone si innalza davanti al Grand Hotel (quello vero, non il Casinò di Anzio), sulla città e sul mare, tutto in colore pastello. La voce fuori campo di Fellini avvisa: “State in atteggiamento ricettivo, di completo abbandono, non cercate di capire… ”. Cappuccio aggiunge che il suo film sarà “senza troppe regole, un amarcordino libero”. Partono spezzoni in bianco e nero di Rai Teche che sono scintille: “La mia vita è stata una dichiarazione spudorata d’amore verso il cinema, forse eccessiva, ma è quello che ho fatto” dice Fellini.
L’importanza dell’essere di Rimini, della provincia, viene focalizzata dal regista Mario Sesti, coautore del soggetto: “Ciò che ha colpito l’immaginario mondiale è stato l’incontro della provincia con Roma, del punto di vista limitato con l’inaudito, il meraviglioso, il sensuale”. Sergio Rubini: “Metteva sempre davanti l’essere poeta di provincia, anche nel suo modo di godersi la città”. Dal canto suo la provincia non sembra aver apprezzato del tutto come è stata rappresentata. Secondo la nipote Francesca Fabbri Fellini: “Federico rende immortale Rimini, eppure molti riminesi non gli hanno perdonato le icone caricaturali del suo capolavoro, Amarcord”. “Non si sentiva riminese, si è servito di Rimini” sentenziano tre amici al bar. Dalle teche della Rai Fellini dice la sua e parla di “sogni di evasione fumettara” in una provincia condizionata dalla dittatura fascista che c’era nel Paese.
Più il racconto si addentra verso Roma e Cinecittà, più entrano in scena i “felliniani quelli veri”. Cappuccio riprende un documentario di cui è stato assistente su “E la nave va” diretto da Andrea De Carlo, scrittore e amico di Fellini. Gli spezzoni si intersecano con altre scintille che arrivano da Rai Teche: il Fellini giovane visto da Alberto Sordi, una gag di Mastroianni e Fellini sul set, varie apparizioni di Giulietta Masini, tra cui la risposta a Sergio Zavoli sul non aver avuto figli: “Ci siamo voluti ancora più bene”. Gianfranco Angelucci, regista, assistente e biografo racconta a Cappuccio: “Vivere con Fellini era come vivere in una sequenza cinematografica”. Angelucci descrive la scena del Rex: “Tutto sfacciatamente finto e ostentato, eppure un’emozione straordinaria, un’immagine di favola. E’ nell’immagine sognata che ognuno fa i conti con la realtà”.
E poi si arriva alle ombre e il film si fa thriller. Qui Vincenzo Mollica, grande amico di Fellini, Milo Manara e Andrea De Carlo diventano testimoni e co-protagonisti. Si parla dei due film scritti, quasi prodotti, ma mai fatti: “Viaggio a Tulum” e “Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet”. Che idea ti sei fatto di questa storia, chiede Cappuccio a Mollica: “Si trattava di una materia misteriosa”.
Nel primo caso, si racconta dell’innamoramento di Fellini per il libro di Carlos Castaneda, Gli insegnamenti di Don Juan in cui lo scrittore peruviano racconta della propria iniziazione allo sciamanesimo yaqui. La suggestione confluisce in una complessa e onirica sceneggiatura, finché Fellini e Andrea De Carlo non partono per Los Angeles. Lì incontrano il produttore Grimaldi e lo scrittore Castaneda per realizzare il film in Messico. Già dai primi giorni il gruppo viene raggiunto da misteriose telefonate, finché, all’improvviso, Castaneda si rende irreperibile. La piccola compagnia italiana continua a essere contattata al telefono da voci che si definiscono non umane e che guidano verso incontri, riti e percorsi. Da ultimo lo sconcerto prevale, gli italiani rientrano frastornati e l’idea di fare il film tramonta, travolgendo pure il secondo progetto su Mastorna, che parlava dell’Aldilà. “Non voleva fare quello che ‘loro’ volevano” racconta Christina Hengelhardt, attrice, sensitiva, guida nel viaggio. Cappuccio sembra prediligere la versione che sia stato tutto uno scherzo orchestrato dal Maestro.
Resta comunque una traccia compiuta delle due incompiute. Nel 1986 De Carlo scriverà un romanzo prendendo spunto dal viaggio,“Yucatan”. Contemporaneamente Fellini pubblicherà sul Corriere della Sera la sceneggiatura del “Viaggio a Tulum” e con Milo Manara realizzerà l’omonimo fumetto, in cui è il personaggio di Vincenzo Mollica, spalla comica, ad affiancare Fellini. De Caro non c’è più, le strade si sono divise. La scelta del fumetto viene percorsa anche per il viaggio di Mastorna. Entrambi i casi aprono una finestra sul mistero secondo Fellini, sul suo immaginario di questa ultima stagione, sull’accettare l’inconoscibile. “Siamo misteri tra i misteri, siamo gli inconoscibili dentro l’inconoscibile”, tratteggia Manara, che ha raccolto così nei suoi disegni l’ultimo mistero di Fellini. Fellini, fine mai, semmai infinito.
(c) Le immagini pubblicate sono tratte da “Fellini Fine Mai” di Eugenio Cappuccio