In meno di un mese l’Italia ha letteralmente scoperto l’esistenza del calcio femminile. Nel loro cammino mondiale le ragazze, guidate da Milena Bertolini, stanno compiendo un vero e proprio miracolo non solamente sportivo.
Infatti, se sul campo le azzurre prime del loro girone, dopo aver battuto la Cina negli ottavi, aspettano sabato di giocarsi l’accesso alle semifinali contro l’Olanda, il loro successo sportivo oltre che di audience televisiva potrebbe contribuire a far cambiare l’atavica mentalità nostrana di considerare il calcio uno sport da uomini. E può ambire anche a qualcosa in più, ossia permettere di superare tanti piccoli e grandi pregiudizi legati alle donne.
Se l’Italia rosa ha spopolato e ottenuto un seguito di pubblico inimmaginabile fino a pochi mesi fa, lo si deve a tanti motivi: in primo luogo all’esplosione globale di questo sport che un Mondiale ben programmato e diffuso dalla televisione ha contribuito a lanciare. Ma sia chiaro che, fuori dalla nostra penisola, il calcio femminile ha una sua storia e un suo blasone da oltre venti anni: parliamo di una disciplina che, negli Stati Uniti, rappresenta lo sport più praticato e seguito dalle ragazze, con una nazionale che è ben più famosa e titolata di quella maschile.
Un solo dato può chiarirne la portata (anche economica): nella finale del Mondiale disputato nel 1999 il Florida, al Rose Bowl di Pasadena ad assistere al match tra Usa e Cina c’erano 90mila spettatori, con oltre un miliardo di spettatori incollati davanti ai teleschermi di tutto il mondo. In quegli anni Mia Hamm Alex Morgan e Hope Solo erano vere e proprie star sportive a stelle e strisce, paragonabili a mostri sacri quali Tiger Woods o Michael Jordan.
Le loro gesta sportive sono divenute simbolo di donne vincenti, veri e propri modelli da imitare per spirito, orgoglio e coraggio da un intera generazione di ragazze.
Se a questo effetto di internazionalizzazione, che molto spesso la cultura a stelle e strisce diffonde nel resto del globo, si associa la recente nascita di un rinnovato movimento femminile nostrano, guidato su tutte da Juventus, Fiorentina e Milan prime a capire l’importanza del movimento e creare una propria squadra e la presenza della tv come amplificatore, ben si può comprendere la nascita di questo vero e proprio boom sociale
Queste concause, oltre ovviamente ai risultati che la squadra del ct Milena Bertolini sta ottenendo al Mondiale di Francia stanno finalmente abbattendo quel atavico tabù tutto italico di considerare il calcio un sport da uomini. Ciò non toglie che da qui al superamento dei tanti pregiudizi ci sia ancora tanta strada da fare: basti pensare alle discriminazioni incontrate dalle azzurre nella loro esperienza di giovani calciatrici o, tanto per citare l’ultimo episodio in ordine di tempo, i pessimi commenti che ha scatenato l’immagine postata dall’azzurra Aurora Galli su Instagram dopo la rete contro la Cina, che testimoniano ancora i tanti preconcetti e l’arretratezza culturale del Paese.
La foto di Instagram (https://www.instagram.com/p/BzC5o9nCStT/) ritrae la numero 4 azzurra che si bacia con un’altra donna protesa dagli spalti: per la cronaca si tratta della sorella, ma il loro bacio ha scatenato polemiche di genere stupide e incomprensibili (se anche fosse stata la compagna che cosa sarebbe cambiato?).
Ecco allora che il cammino della azzurre al Mondiale, specie se riusciranno nell’impresa di battere la favorite olandesi ed accedere tra le quattro regine della specialità, può diventare un piccolo ma importante tassello per abbattere quei muri culturali, non solo di genere, di cui purtroppo la nostra cultura ancora risente (e non poco), insegnandoci a mettere da parte i pregiudizi.
Siamo una nazione che si appassiona agli sport nei suoi picchi olimpici o mondiali e che poi li dimentica troppo facilmente, basti pensare agli sport olimpici che vivono il proprio apice solamente ogni quattro anni: speriamo che questa volta, prima che passino i loro “quindici minuti di notorietà” le nostre azzurre siano capaci di dare a questo sport la dignità che merita.
Per tutto il resto basterebbe vi fosse un semplice riconoscimento di normalità.