Sir, Cenerentola a Mumbai, (qui il trailer), premiato alla Settimana della Critica di Cannes 2018 e dal 20 giugno nei cinema con Academy Two, non è solo una storia d’amore ambientata a Mumbai tra una cameriera e il suo datore di lavoro ma un potente ritratto di una ragazza proveniente da un piccolo villaggio che vuole sfidare un paese con un sistema patriarcale che impedisce alle donne di emanciparsi, sin dall’antichità.
Ratna, interpretata con stupefacente grazia e immenso sentimento da Tillotama Shome, è rimasta vedova e in India le donne che restano senza marito non possono risposarsi, tornare in famiglia o avere una vita sociale: possono solo ritirarsi in povertà e isolamento. Ratna invece fugge a Mumbai dove inizia a lavorare come domestica per Ashwin, erede di una ricca famiglia della città. Lui possiede tutto, ma è disilluso sul futuro; lei invece non possiede nulla ma è piena di speranza e lotta per i suoi sogni. I loro due mondi così distanti si avvicineranno, facendo emergere sentimenti inaspettati ma le barriere tra di loro sembrano insormontabili.
“L’idea del film è nata da un’esperienza personale – racconta la regista Rohena Gera, alla sua opera prima. “Quando ero piccola ho vissuto in India. Viveva con noi una donna con cui siamo cresciuti che aiutava in casa, che si prendeva cura di me a cui eravamo molto affezionati, ma vigeva una chiara segregazione. Lei doveva utilizzare bicchieri separati e non poteva usare il nostro stesso bagno. Mangiava seduta sul pavimento e dormiva su un materasso poggiato a terra, in cucina o nel corridoio. Spesso avevo problemi con queste dinamiche anche da bambina non riuscivo a capirne il senso“.
L’India ha una forza lavoro domestica di 40 milioni di persone, per lo più donne, che lavorano senza contratto, né diritti, in condizioni simili ad una moderna schiavitù. Non hanno alcuna protezione dallo stato in termini di salario minimo o di orario di lavoro, nessuna copertura sanitaria, di disoccupazione o altre forme di tutela. La vita di queste donne dipende totalmente dai loro datori di lavoro. Oltre alle condizioni estreme in cui sono costrette a lavorare devono anche subire delle umiliazioni quotidiane. “E tutto questo nell’indifferenza generale, perché considerare la tua cameriera un essere inferiore è normale“, ha spiegato ancora la regista.
Girato con immaginifica semplicità, il film si tiene lontano da inutili moralismi per raccontare una storia d’amore tra un uomo ricco e bello e una donna graziosa che non il massimo dell’originalità ma funziona da microcosmo per esplorare la possibilità di superare la segregazione in casta nella società indiana. “Perché questo amore deve essere considerato un tabù? Questa è la questione principale che sta al cuore del film. Ma volevo anche sottolineare che le differenze di classe esistono anche in Occidente. Non sono definite da una casta o da leggi, ma bensì da norme e valori culturali e dal modo in cui un individuo pensa e vede il mondo. E se Ratna è consapevole che l’amore di Ashwin non cambierà il modo in cui la società indiana la vede, spero almeno di aver dato voce a una ingiustizia che merita di essere ascoltata“.