Un elefante e una piuma. Pesantezza e leggerezza. E’ su questa dicotomia, su questo ossimoro poetico che prende vita il live- action di Dumbo firmato Tim Burton. premiato alla cerimonia dei David di Donatello con il David for Cinematic Excellence. Il regista visionario di Burbank, a distanza di quasi 80 anni, riprende in mano la storia dell’elefantino Disney con gli occhioni blu e le orecchie giganti. Il film animato del 1941 durava 64 minuti ed è diventato per molte generazioni di bambini una favola cult, con un retrogusto un po’ malinconico. Questo perché la storia di Dumbo racconta l’avventura di un elefantino “speciale”, diverso, con grandi orecchie che lo rendono “uno scherzo della natura” ma che gli consentono di fare un qualcosa di impossibile per un animale di quelle dimensioni: volare.
Dumbo si inserisce bene nell’universo burtoniano di weirdos e freaks dal cuore tenero: da Edward Scissorhands a Jack Skellington, da La sposa cadavere al cagnolino Sparky di Frankenweenie. In questo remake Burton introduce personaggi umani del tutto assenti nella versione animata, restando, tuttavia fedele allo spirito della storia originale. La sceneggiatura scritta da Ehren Kruger arricchisce con elementi nuovi la fiaba: Holt Farrier (Colin Farrell), rientra a casa dalla guerra, mutilato. La sua casa è il circo gestito dallo scoppiettante Max Medici (Danny DeVito) ed è lì che vivono anche i suoi due figlioletti (i giovanissimi Nico Parker e Finley Hobbins), rimasti orfani di madre. Il suo ritorno coincide con la nascita di una nuova creatura: un elefantino bizzarro dalle enormi orecchie. I due bambini, figli di Holt, sono gli unici ad amare immediatamente il cucciolo di pachiderma e ad intuire che si tratta di un essere speciale. Quando una piuma si posa accidentalmente sulla proboscide del piccolo, l’elefantino starnutisce e, come per magia, inizia a volare. La scoperta di questo prodigioso talento attira l’attenzione di un imprenditore senza scrupoli V. A. Vandevere (Michael Keaton) che vuole rendere Dumbo una vera star, facendolo esibire con la sua compagna, l’acrobata “regina dei cieli” Colette (Eva Green). Il prezzo del successo si rivela troppo alto per il piccolo Dumbo che non è un fenomeno da baraccone ed ha bisogno delle cure della mamma da cui viene bruscamente allontanato. L’amore tra madre e figlio è, infatti, il cuore del film. Burton crea un mondo immaginifico, partendo dalle suggestioni, dai colori, dall’energia creativa e dalle stramberie dell’universo circense. Il suo genio fantasioso trova terreno fertile in “Dreamland”, l’isola dei sogni dove si esibisce Dumbo.
Il regista dà vita ad un racconto visivo esplosivo, intriso di poesia, magia e stupore infantile. Ed è proprio nelle immagini che risiede la forza del film, una visione onirica in cui il confine tra sogno e incubo è sempre labile. In questo film, gli appassionati di Burton come me, respireranno un clima “familiare”: c’è Danny DeVito, nei panni del boss del circo come in Big Fish, c’è Michael Keaton che con Burton ha girato Batman e Beetlejuice, c’è Eva Green, nuova musa del regista, che ha lavorato con lui in Dark Shadows e Miss Peregrine, c’è Colin Farrell che qui sembra ricalcare molto le interpretazioni di Johnny Depp, ci sono i bambini dagli occhioni grandi, di una bellezza antica come fossero usciti da un quadro dell’epoca vittoriana. E, non ultimo, c’è il grande ritorno di Danny Elfman il quale, ancora una volta, traduce in musica le reveries burtoniane. Degna di nota, la scena della danza degli elefantini rosa che Burton ripropone in modo inedito rispetto all’originale, utilizzando tutto l’incanto artistico delle bolle di sapone.
Il nuovo Dumbo è una creatura tenera che, in linea con tutti i personaggi di Burton, non si rende conto della sua straordinarietà. Difficile non innamorarsi a prima vista dei suoi grandi occhioni blu. Ma, questa volta, il regista californiano decide di non farci piangere con Dumbo, optando per una soluzione finale più morbida…o meglio più “leggera”.
L’ultimo volo dell’elefantino – sembra suggerirci Burton – è una sorta di liberazione da un sistema che vuole “incasellare” qualcosa che è fuori da ogni categorizzazione. E’ un librarsi in volo che coincide esattamente con la riappropriazione di libertà, intesa come dignità e identità. Perché tutte le creature, anche gli animali, hanno diritto a essere ciò che sono, a vivere nel proprio habitat naturale e ad essere circondati d’amore.