Dal 21 marzo, giornata internazionale contro la discriminazione razziale, sarà possibile vedere al cinema “Il venerabile W.“, terza e ultima parte di una sorta di “trilogia del male”, iniziata da Schroeder nel 1974 con “Il Generale Idi Amin Dada”, ritratto del dittatore ugandese e seguito nel 2007 da “L’avvocato del terrore” su Jacques Verges, l’avvocato franco siamese che difese addirittura criminali nazisti come Klaus Barbie o negazionisti come Roger Garaudy.
La W. sta per Wirathu, un monaco birmano buddista altamente rispettato e influente che definisce i musulmani dei “cani pazzi” , esortando i suoi fedeli al massacro del popolo musulmano dei Rohingya. Eppure il buddismo, praticato dal 90% degli abitanti del paese, è una “religione”, ma più, è una pratica, che fonda la propria essenza su un modo di vivere pacifico, tollerante e non violento.
“La domanda, dopo ogni genocidio o crimine contro l’umanità, pulizia etnica, è sempre la stessa: come è potuto accadere? Per quanto riguarda i Rohingya in questo film c’è la risposta” ha detto Riccardo Noury portavoce di Amnesty International.
Il documentario di Schroeder ci fa capire proprio come sia stato possibile che da delle parole di odio si arrivasse a delle azioni di odio. “Ho sempre considerato il buddismo – ha detto il regista – come una delle ultime illusioni dell’Occidente, ovvero l’unica religione che fino a questo momento aveva evitato i fanatismi e gli estremismi. L’unica pratica che aveva addirittura predetto la sua stessa fine, il Buddha in persona dichiarò che la sua dottrina sarebbe durata 5000 anni e poi non ve ne sarebbe rimasta traccia. Per questo ho sempre pensato al buddismo come uno dei tesori più preziosi dell’umanità”.
E invece. Il massacro e la deportazione dei Rohingya stanno a dimostrare il contrario. Con la complicità di Aung San Suu Kyi che alla fine, nel silenzio generale, sta dalla parte del potere e dei militari.
Schroeder, già regista di Il mistero Von Bulow, ha il grande merito di intervistare il glaciale Wirathu dopo mesi di ricerche fatte in gran segreto e visti turistici per passare inosservato. Lo convince dicendogli che Marine LePen stava “esportando” in Francia idee molto simili alle sue e che sarebbe stato felice di ascoltarlo. E’ un ascolto senza giudizio quello del regista iraniano-svizzero, ma, parola dopo parola, ci si rende conto di quanta e quale violenza terrificante emani Wirathu. Un uomo capace di negare gli stupri dei militari sulle donne Rohingya “perché i corpi di quelle donne sono troppo disgustosi”.
Lo spettatore diventa l’unico giudice, attraverso attraverso immagini d’archivio risalenti agli anni Settanta, video e scene girate live mentre la stessa violenza accadeva.
La paura di una razza “contaminata”, di un’invasione, di una supremazia, di parole religiose mal interpretate, ecco come la meccanica di una violenza si scatena, fotogramma dopo fotogramma. Il Venerabile W. è quasi una radiografia di una pulizia etnica mentre avviene sotto i nostri occhi. Pensiamo sempre che l’orrore sia sempre altrove anche se la Birmania è lontana e lo è ancora di più Christchurch in Nuova Zelanda, ma finchè non impareremo rispetto e tolleranza saremo sempre un’umanità recidiva e incline al male più spaventoso. Hitler era dietro l’angolo e non abbiamo saputo fermarlo.
Ci sono documentari necessari all’evoluzione, alla pietas e all’humanitas e questo è uno di quelli. Non possiamo più permettere che certe cose accadano, fosse anche solo ai nostri vicini di casa.