Elena lavora a a Bussoleno presso un istituto superiore che si occupa di formazione ma vive ad Oulx-Ulzio, tra i monti dell’alta Valsusa, terra di confine dove in questo momento la tensione è molto alta soprattuttodopo la decisione della Francia di chiudere il confine Ventimiglia/Menton. Molti immigrati si sono infatti riversati a Bardonecchia per cercare di attraversare il confine, ma su quei colli, a più di mille metri d’altezza, la morte è un destino quasi sicuro per chi indossa un abbigliamento davvero inadeguato al rigiso clima invernale. Nonostante conduca una vita intensa, impegnata, Elena non si è tirata indietro nel cercare di aiutare come poteva davanti al difficile caso di un giovane camerunense, salvato in extremis dall’amputazione di una gamba per congelamento, aveva bisogno di un posto, temporaneo ma stabile, dove stare dopo la degenza in ospedale: Elena gli aperto la sua modesta casa, decidendo di ospitarlo e seguirlo fino a quando non riuscirà a trovare almeno una sua autonomia di movimento.
Georgia, ventiseienne di Como, faceva la segretaria in uno studio medico. Un giorno di luglio 2017 mentre stava andando a comprarsi le scarpe ha trovato di fronte alla stazione della sua città un accampamento improvvisato con un centinaio di migrant, a causa della chiusura della frontiera svizzera. Si è fermata per dare una mano, poi ha deciso di spendere una settimana delle sue ferie per dare una mano un po’ più sostanziosa. Oggi è ancora lì, grazie anche all’aiuto di preti delle varie parrocchie, nonostante lei si dichiari atea. Non ha una militanza alle spalle, né esperienza di accoglienza: si inventa tutto giorno per giorno nel cercare di risolvere i problemi più disparati, come l’apertura di uno sportello legale improvvisato, autogestito da donne.
Lorena, 64enne di Pordenone, è una psicoterapeuta in pensione dopo aver diretto per molti anni il servizio adozioni della ASL della sua città. Da vent’anni convive con Andrea Franchi, ex professore di filosofia bolognese di 84 anni. Dal 2014 sono impegnati nella “jungle”, come viene chiamata in città – con tono evidentemente dispregiativo, per non dire razzista – una vecchia area industriale ormai vuota da anni: è un luogo dove trovano riparo ed aiuto soprattuttp Pakistani, Afghani e Bengalesi che sono rifiutati dai percorsi di accoglienza istituzionali.
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Jessica, ventiduenne studentessa a Cosenza, è il punto di riferimento di una grossa occupazione abitativa in via Savoia, nel centro della città. Dentro un edificio abbandonato che ospitava gi uffici dell’ATER, vivono quasi 80 persone, di tutte le nazioni, italiani inclusi, che cercano una soluzione al bisogno radicale di una casa. La stessa Jessica vive in una stanza al primo piano, con il bagno condiviso con altri tre nuclei. A turno gli occupanti stanno di guardia all’ingresso, per non farsi trovare impreparati davanti ad un possibile sgombero.
Elena, Georgia, Lorena e Jessica, quattro donne molto diverse, anche di età, e che vengono da mondi differenti, sono al centro del documentario “Dove bisogna stare“, di Daniele Gaglianone, autore anche, assieme a Stefano Collizzolli, di soggetto e sceneggiatura. Sono donne che si sono concretamente trovate di fronte a situazioni di marginalità, di esclusione e di caos, e non si sono voltate dall’altra parte. Sono rimaste lì, dove sentivano che bisognava stare.
Donne che appaiono fuori luogo, quasi incomprensibili, in un paese raccontato da una parte del ceto politico come terrorizzato dalle migrazione e violentemente ostile verso i migrantri. Sono persone che trasmettono la speranza di poter uscire, tutti assieme, dai problemi e dalle tensioni causate dalle migrazioni, che hanno comunque il pregio di far emergere con forza le contraddizioni e le ingiustixie della nostra società. Ci fanno capire che si può fare qualcosa per lenire queste sofferenze e al tempo stesso restare “normali”, come il cenare con i propri amici o passare la notte a cantare.
“Il nostro documentario vuole raccontare un’Italia, spesso femminile – ma non solo – che agisce quotidianamente per mettere al centro dignità e giustizia – hanno spiegato i due registi -. ‘Dove bisogna stare‘ racconta di una possibile risposta a questi tempi cupi. Non racconta l’immigrazione dal punto di vista di chi sceglie di partire o è costretto a farlo: è innanzitutto un film su di noi, sulla nostra capacità di confrontarci con il mondo e di condividerne il destino”.
Un documentario che deve farci riflettere e capire che c’è bisogno di volontariato non per metterci in pace con la coscienza ma per dare più senso alla vita, passando dalle parole ai fatti, mettendo cioé davvero al centro del nostro vivere quotidiano dignità e giustizia.