Siamo nel 1962, l’uguaglianza civile tra bianchi e persone di colore è ancora un miraggio, specie negli Stati del sud degli Usa. Il razzismo non è solo una questione di colore della pelle ma anche di cultura, di voler “ascoltare” l’altro senza barriere psicologiche e umane. A spingere a queste riflessioni è il film “Green Book”, di Peter Farrelly (A proposito di Mary, Scemo e più scemo) candidato a cinque Oscar ‘pesanti’, tra cui Miglior film, Miglior attore (Viggo Mortensen) e Miglior attore non protagonista (Mahershala Alì, già premio Oscar per “Moonlight” di Barry Jenkins), e già vincitore di tre Golden Globe, e del premio del pubblico al TorontoFilm Festival.
E’ un film on the road e racconta la vera storia dell’amicizia, durata tutta la vita, fra il virtuoso, acculturato e raffinato pianista afroamericano, Don Shirley (Mahershala Alì) e un buttafuori italoamericano, razzista e “sparastronzate”, Tony Vallelonga (l’attore danese, ingrassato di 15 chili, Viggo Mortensen, detto nel film “Tony Lip”-Tony lingualunga), ingaggiato dal musicista per fargli da autista e risolvergli gli eventuali “guai” razzisti durante un difficile tour nel sud degli Stati Uniti. A fare loro compagnia durante tutto il viaggio è la Negro Motorist Green Book (da qui il titolo del film), una guida ignobile, pubblicata fino alla metà degli anni ’60, che indicava i ristoranti e gli alberghi che accettavano persone di colore. . Si trattava, per di più, di bettole fatiscenti. I bianchi segregavano lì i neri convinti, per qualche motivo, che un’eccessiva vicinanza li avrebbe in qualche modo “contagiati”.
Shirley, laureato in psicologia e istruito in un conservatorio in Russia, abita a New York, in un sontuoso appartamento proprio sopra la Carnegie Hall, vero tempio della musica, sempre solo e con un esilarante maggiordomo. Tony, invece, risiede nel vicino Stato del New Jersey, ha una famiglia numerosa, è molto innamorato della pazientissima moglie Dolores (Linda Cardellini) e si mantiene con lavoretti, anche sporchi, e scommesse: quando il club dove lavora viene momentaneamente chiuso, accetta di fare l’autista per Don Shirley.
Durante il loro viaggio si ritrovano a contatto con la triste realtà di una società che finge di accettare le persone afroamericane, che le invita alle feste per onorare i loro ospiti con l’esibizione di un famoso musicista (quanti grandi jazzisti hanno vissuto questa realtà in quegli anni!!), ma che nega loro il semplice diritto di vivere, mangiare e andare in bagno insieme ai ‘bianchi’. Tra i due uomini, però, in quei lunghi spostamenti in macchina nasce una reciproca comprensione e voglia di conoscenza.
Il primitivo Tony, sempre affamato, ignorante e animato da una bontà radicale riesce a raffinarsi e a vincere le sue resistenze razziste. L’aristocratico Shirley scende dal piedistallo, si riavvicina alle sue origini e scopre il gusto di una felicità più semplice. Insomma, una specie di “A spasso con Daisy” ma a ruoli invertiti: è soprattutto un invito a fare un viaggio, che fa ridere e piangere, per riflettere sui tanti sterotipi che ancora oggi esistono (vedi il pollo Kentucky Fried Chicken presunto mito dei neri) e sugli spesso condizionanti limiti delle “prime impressioni” interpersonali.
“Green Book” non vuole farci una “predica”, non è una lezione, ma una bella storia del passato che può aiutarci a capire il presente. Ci ricorda costantemente che ognuno di noi è uguale all’altro, perché tutti cerchiamo amore e di essere accettati (vedi a tal proposito il toccante momento in cui Dolores legge la lettera di Tony ai suoi cugini). Tony è amato dalla moglie ma la sua “redenzione” umanista non ha l’amore al centro ma sono il confronto con valori, culture e umanità diverse a spronarci nel profondo perché le persone non sempre sono chi o cosa ci aspettiamo siano. Un processo di analisi di se stesso e della società che tocca anche il solitamente solitario, arrogante e freddo Don, intrappolato nella sua fama. Le azioni di Don e Tony ci ricordano quanto sia importante il comportamento di ognuno di noi nell’apportare un cambiamento nel mondo. La parte più interessante mi è sembrata il “dopo conversione” di Tony al principio di uguaglianza e alla stima per l’altro.
La sceneggiatura di “Green Book” è stata scritta dall’attore Nick Vallelonga (figlio di Tony, morto nel 2013, come Shirley) con Brian Currie e il regista Peter Farrelly: francamente, era difficile immaginare che un giorno un film diretto da uno dei due fratelli registi (l’altro è Bobby) di “Tutti pazzi per Mary“, “Scemo e più scemo” e “Io, me e Irene” sarebbe stato tra i grandi favoriti nella notte degli Oscar con un calibrato e, perché no, commovente film sul razzismo tratto da una storia vera. Si ride e ci si indigna per una realtà lontana che però, visti i tempi che corriamo, suona anche tristemente recente, non solo nell’America di Trump ma anche in Europa, da noi.