Dopo l’addio (a sorpresa) dalla giuria di “X Factor”, Manuel Agnelli, classe 1966, si prepara ma non troppo («la regia è non avere una regia») a un nuovo tour live per i teatri. Il primo da solo per il frontman degli Afterhours, band storica dell’indie-rock italiano che ha appena celebrato trent’anni di carriera con un concerto e un docu –film. A TheSpotNews l’artista si racconta in modo autentico e diretto, dal momento di pausa dagli After, «questo stop serve essenzialmente a mancarci, mettiamola così», all’esperienza triennale nel talent show targato Sky, fino alla rinnovata voglia di risalire sul palco e tornare in tv, «non metto una pietra sopra al fatto di ritornare in televisione in un certo modo e in un certo tipo di programma e non sputo sopra “X Factor” ».
Al prossimo Festival di Sanremo, Manuel Agnelli sarà impegnato ad affiancare Daniele Silvestri in un duetto.
“An evening with Manuel Agnelli” è il titolo del tour in partenza il prossimo 30 marzo da Assisi, al tuo fianco anche Rodrigo D’Erasmo, violinista, polistrumentista e arrangiatore. Cosa ti ha spinto verso quest’avventura in solitaria?
La voglia di recuperare una dimensione più naturale, umana e un rapporto con il pubblico più diretto, meno mediato da sovrastrutture. Sentivo il bisogno di tornare a fare musica per la musica, suonare con un’altra leggerezza, nel senso di non dover preparare per forza tre settimane prima delle versioni con un arrangiamento particolare.
Qualcosa di meno organizzato?
Si, perché negli ultimi tre anni ho fatto tante cose con grandi professionisti. Ho imparato molto ma è stato anche complicato muoversi tra gli Afterhours e “X Factor”.
Vuoi raccontare qualcosa in più di te stesso come artista e uomo?
Durante i concerti sono sempre stato molto asciutto, poco incline a raccontarmi o a spiegare i brani perché credevo che dovesse parlare solo la musica. La verità, invece, è che la televisione mi ha aperto molto e stimolato a provarci anche sul palco. Ma è più una curiosità, non è che abbia poi tutto questo desiderio di parlare di me stesso (ride, ndr).
Sono previsti anche duetti importanti durante il tour?
La regia è non avere una regia, e se si presenta un amico a cena, un’ora prima del concerto, poi può salire anche sul palco. Non vogliamo annunciare ospiti ma fare qualcosa di diverso tutte le sere: cambiare più spesso la scaletta, l’approccio, stimolando prima di tutto noi stessi e il pubblico che verrà a vederci.
Nel 2018 avete festeggiato i trenta anni di Afterhours con un concerto celebrativo di 12mila persone al Forum di Assago che è diventato “Noi siamo Afterhours”, un docu – film in uscita il 25 gennaio a cui seguirà anche c’è un doppio cd/dvd. Mi confermi nessuno scioglimento in corso?
Gli Afterhours sono in stand-by. E’ più un momento fisiologico dovuto al fatto di fare cose diverse perché siamo diventati molto grandi e ogni volta spostarsi è un casino. Poi ogni singolo musicista ha tanti progetti e quindi gli After finivano per essere la casa madre, in questo senso la più istituzionale. Invece voglio che la band, visto che questa è la formazione definitiva ed è creativamente molto brillante, non diventi un’azienda e si unisca con voglia e un grande entusiasmo. Questo stop serve essenzialmente a questo: dobbiamo mancarci, mettiamola così.
Cosa ha ispirato la tua musica?
Decine di artisti. Mi interessavano di più i cantanti con voci virtuose e i gruppi con una personalità particolare anche se facevano solo due note. Ho sempre preferito Lou Reed, Tom Waits e Nick Cave o Johnny Rotten perché credo che cantare non sia fare un esercizio o un salto mortale, ma trasmettere delle tensioni. In Italia purtroppo funziona più la tecnica, la bella voce anche se è canonica. A me interessa meno.
Hai annunciato l’addio definitivo da giudice di “X Factor” dopo tre stagioni, ma potresti ripensarci se dovesse essere richiamata Asia?
L’anno prossimo non ci sarò perché ho esaurito un certo tipo di percorso e avevo delle perplessità anche sulla mia partecipazione all’ultima edizione. Ho detto e ridetto quello che dovevo dire. E’ vero che con Asia avevo visto la possibilità di avere un tavolo di giudici bilanciato in maniera diversa dal passato, spostando la barra musicale dalla mia parte. Con lei avrei avuto una complice perfetta perché Asia ha un grande carattere.
Ti rivedremo nella seconda stagione di “Ossigeno”?
Spero di rifarlo e me lo hanno anche richiesto. Non metto una pietra sopra al fatto di ritornare in televisione in un certo tipo di programma e non sputo sopra “X Factor”. In questo momento cominciavo a diventare sempre più personaggio e sempre meno sostanza. Non voglio che sia più importante la scatola del contenuto e diventare più importante per il ruolo di “giudice cattivo”.
Cosa manca ai ragazzi di oggi? Credi che abbiano una visione della musica troppo centrata sul mercato, la fama, i numeri e le classifiche?
E’ difficile dare un giudizio. Purtroppo l’unico dato oggettivo sono i numeri e i ragazzi oggi vogliono quelli. Parlano di successo e non di urgenza espressiva, linguaggio, comunicazione, informazione e libertà creativa. Per loro è la cosa più importante e non ho niente contro. Anche io rincorro il successo dei progetti che metto in piedi ma non è il primo obiettivo. Ed è quello che mi scombussola.
Chi trovi sulla scena musicale oggi, forte, indipendente e libero come gli Afterhours agli inizi?
Qualcuno c’è, ma non come gli After all’inizio. Il contesto era troppo diverso. Allora c’erano i centri sociali, luoghi di espressione culturale molto liberi dove si sperimentava e i club degli anni ‘90 con una programmazione mostruosa. Oggi sono spariti. Su tutti ti faccio il nome di Salmo. Ha un successo di pubblico con grossi numeri live e di vendita, pur avendo fatto un percorso non televisivo e neanche tanto radiofonico. Lui c’è riuscito a modo suo e si è imposto come carattere musicale. E’ un buon esempio.