“L’agenzia dei bugiardi” , nelle sale da oggi 17 gennaio, ironizza, senza giudicare sull’umanità dell’errore della bugia, ma mentire è tanto sbagliato quanto liberatorio e proprio per questo nessuno può resistere. Ne abbiamo parlato con il regista Volfango De Biasi.
Domanda direi “scontata”: che rapporto hai con le bugie e con i bugiardi
Le bugie sono il primo passo evolutivo dell’infanzia, le usiamo per difenderci e creare uno spazio nostro: insomma, desideriamo qualcosa che ci viene inibito allora se dicessimo la verità non potremmo averla. E’ un metodo per salvarsi la pelle: dopodichéci si prende sempre più gusto e si spera sempre di non dover pagare il conto. Quindi la bugia è una difesa, i bugiardi sono tra le persone più simpatiche, i registi e gli attori sono dei bugiardi patentati, e questo è abbastanza ovvio: qualunque racconto è una bugia. E’ comunque ovvio che poi, purtroppo, la bugia, per chi la riceve, specialmente quando si parla d’amore o di interessi, ma può anche essere dilacerante: delle volte mi sono trovato davanti a bugie, o tradimenti, in maniera talmente clamorosa d’aver fatto alla fine un ‘chapeau’ col sorriso a chi aveva mentito: insomma, amo i fantasiosi, o le fantasiose
“L’agenzia dei bugiardi” mi è sembrato un lavoro con più pochade, e socialmente più graffiante, di altri tuoi lavori, come se ‘nascondesse’ il tuo piacere nello spaziare tra i vari generi della comicità e del sociale: è così?
Sì, amo spaziare, farei film horror, politici, di tutti i generi: amo il racconto, la forma del racconto e amo soprattutto tutto quello che mi emoziona, quindi, tendenzialmente, ogni forma d’arte. Quando uno mi chiede ‘Quale film ti piace’, io, a parte “La dolce vita” di Fellini o “La vita è una cosa meravigliosa” di Frank Capra, come faccio a rispondere senza fare un torto a tanti altri. Con “L’agenzia dei bugiardi” c’era un po’ più di mano libera, diciamo così: comunque, sia chiaro che nessuno pensi che i rom siano mal visti da me, quelli che rubano la zebra sono i più onesti
Questa voglia di spaziare tacita magari la paura di essere ‘inscatolato’ in un genere, come purtroppo, tante volte, anche alcuni critici fanno?
Si, ma solo fino a un certo punto: la paura è che non me li fanno fare gli altri film! Quando sono per lo più abituati a che tu fai commedia, e questa funziona, tendono a proporti un’altra commedia. Io sono nato come ‘noirista’: il primo film che dovevo fare era una tragedia noir – secondo me meravigliosa – ma poi è andata diversamente e “ora è difficile convincere più che il pubblico i committenti”, come diceva Billy Wilder
Una difficoltà ad uscire dall’inscatolamento della commedia comica che già provò Woody Allen: come dimenticare infatti che, dopo “Prendi i soldi e scappa”, “Il dittatore dello stato libero di Bananas” e “Io e Annie”, tutti si aspettavano che anche “Manhattan” fosse soprattutto divertente e ci vollero diversi mesi prima che il pubblico capisse che era invece un capolavoro…
Beh, allora aspetto di fare “Manhattan”: chessò, magari faremo “Cinisello” – e ride di gusto
Dopo “Natale col boss” e “Natale a Londra – Dio salvi la regina”, anche qui c’è il mai troppo apprezzato, ma per me bravissimo, Paolo Ruffini: la tua scelta di affibbiargli il ruolo di apprendista narcolettico nasconde secondo me una tua grande stima per lui: mi sbaglio?
Penso che Paolo, che è anche un mio amico, e siamo uniti anche dall’interesse per il sociale: io porto in giro la nazionale dei matti con il mio “Crazy for Football” – ndr David di Donatello e Menzione Speciale ai nastri d’Argento per il Miglior documentario 2017 – e lui porta in giro la sua banda di ragazzi con sindrome di Down con “Up & Down”. Siamo entrambi cinefili, e poi trovo che lui sia un ‘grande ammaetsratore di pubblico’, un ottimo comico ma ancor di più un attore formidabile. Ridiamo spesso, anche sul set: io ‘vado sempre in sottrazione con Paolo’, lui si arrabbia tantissimo perché dice che tante sue battute gliele taglio, però trovo la sua presenza lunare, gentile, geniale
I tuoi film sembrano quasi sfiorare il genere animato, con gag e sberleffi propri di quel genere: reminescenza di quando disegnavi fumetti o un omaggio all’infanzia?
Un omaggio all’infanzia. Da bambino ero un onnivero dell’arte e cinefilo, e l’allegria, la fantasia, il gusto del surreale che mi procuravano i mondi dei film di animazione di quei tempi mi hanno forgiato: non c’è niente da fare, quel rifuto della realtà porta allegria e quando mi ci trovo immerso, come anche sul set, mi fa ridere
Penso che la commedia italiana sia troppo sottomessa al ‘politically correct’: che ne pensi?
Dimmelo a me! Come per quasi tutti gli italiani, se quello che dico per telefono o in conversazione fosse ascoltato, sarei all’indice dalla mattina alla sera: trovo che qualunque cosa uno dica possa essere usata per una qualche forma di crudeltà. Penso che nella vita ci siano sedi ben precise per fare cultura, per fare leggi e che ci voglia un cuore buono, tollerante nei confronti di tutte le differenze, perché penso che esista la capacità di capire questa diversità ed inglobarla. Penso quindi che prendere in giro, per far risate, non sia niente di male: diciamola tutta, questo pietismo, perbenismo ha fatto molti più danni di noi cialtroni che facciamo fare due risate. Se si fa del perbenismo, quando poi ridi sulle cose cattive, volgari, allora ti devi sentire in colpa perché sennò significa che per te esiste una comicità dei buoni e una dei cattivi, e mi sembra una cosa sbagliata
Regista e sceneggiatore: definisciti tu in questi due ruoli
Che ne so! Proprio perché passo da un genere all’altro cerco di fare del mio meglio per essere onesto: scrivere un film perché lo girerò, almeno lo penso mentre lo scrivo. Tutti vorremmo essere Frank Capra, Stanley Kubrick, l’Ape Maia: non è sempre così. Ho sempre presente che le mie figlie di 10 e 8 anni possono vedere il mio film, non mi preoccupa quindi non essere politicamente corretto ma invece sì di non essere volgare, di non produrre qualcosa che possa suscitare pensieri cattivi.
Negli ultimi anni i francesi hanno tirato fuori tante tante commedie di successo: cosa c’è di diverso tra le due comicità, i due mondi produttivi?
I francesi hanno 700 milioni di euro di fondi, in Italia ce n’è una ventina! I francesi una quantità di film straordinari perché la politica dello stato francese, unitario, e che si riconosce come tale – e non diviso, con tanti regionalismi e servilismi vari come da noi -, ha promosso la cultura e il cinema come un bene nazionale, mentre da noi si è fatto un po’ alla ‘viva il parroco’. Difficile entusiasmarsi: se tu mi chiami a casa tua e mi offri ostriche, champagne, manicheretti ed intrattenimento musicale mentre a casa mia ci facciamo una pasta e fagioli comprata al supermercato discount è difficile che sia entusista. ecco, noi andiamo avanti così: a fagioli, carrube e gassosa.
Hai deciso di fare il regista e non l’attore perché eri troppo alto: realtà o bugia?
Non avevo tenuto conto che poi l’altezza media delle persone si sarebbe alzata. a 12 anni ero già un metro e 72 cm (ora sono 1m e 95cm). Ero terrorizzato: mi dicevnoa che gli attori famosi a quei tempi erano alti un metro e 50-60 e allora ho deciso di mettermi dietro la macchina da presa così l’altezza non avrebbe contato. Un onesto pensiero d’infanzia. E poi, forse, sono più dotato per dire agli altri cosa fare che non nel farlo io.
Tempo fa hai dichiarato che il tuo genere è il cinema di protesta, politico estremo: vedendo i tuoi film mi sembra un’ottima frase ispiratrice di “L’agenzia dei bugiardi”
“Ahhh, la realtà è così, anche se capisco che è difficile crederlo. Io trovo che fare cinema sia un atto politico, perché sono cresciuto con questa idea. Qualcuno potrà dirmi ‘ma che cazzo stai a dì’, ed è giusto anche questo, e come dice Frank Zappa ‘nella guerra tra te il mondo, stai dalla parte del mondo’. Al contempo penso che magari anche decidere di fare un prodotto popolare, quindi che venga visto per amore della gente – non per disprezzo – in cui magari cambiano alcuni codici, come invece di nutrire la tua gag di genitiali e rumori che provengono da orifizi decidi di mettere altre comicità, a mio modo è un gesto politico. O magari ‘ me la racconto’ e allora… viva l’agenzia dei bugiardi