Marco è allenatore di una squadra di basket professionista di alto livello. Sorpreso alla guida in stato di ebrezza viene condannato a una pena d’interesse generale. Per ordine del giudice deve quindi organizzare una squadra di basket composta da persone con un deficit mentale. Ciò che era cominciato come una pena si trasforma in una lezione di vita sui pregiudizi sulla normalità. Tutti i giocatori della squadra di basket sono interpretati da attori disabili.
Non ci resta che vincere (Campeones, il titolo originale), è il film, campione di incassi al botteghino in Spagna, selezionato come candidato spagnolo ai prossimi Oscar 2019. Diretto dal regista madrileno Javier Fesser, l’intento è comunicare allo spettatore un’immagine della disabilità che si discosta in maniera decisa dai preconcetti legati alla rappresentazione stereotipata della disabilità. Sono ancora troppi i film la cui “funzione” è commuovere la buona coscienza del pubblico, e farlo uscire dalla sala più buono (e quindi assolto). Lo stesso regista ha spiegato che l’idea di partenza del film era invece raccontare la disabilità senza ricorrere ad etichette.
Il cast comprende due attori affermati in patria come Javier Gutiérrez e Athenea Mata affiancati da un gruppo di giovani disabili trovati grazie ad un intensa opera di casting che ha coinvolto numerose associazioni e a cui hanno partecipato più di 600 persone per scegliere i 10 protagonisti. L’identità del disabile non è quindi affidata alle capacità del grande attore, con la sua ricchezza espressiva, ma anche con i manierismi tipici del repertorio classico sulla diversità.
Il film, girato in poche settimane e con pochissimo budget, mette alla prova l’ideologia conformista della normalità. Il disabile è la prova cruciale delle nostre debolezze, del confine che separa pietismo e riconoscimento sincero di ogni differenza. “I miei personaggi sono persone vere – precisa Fesser – che hanno un grande ottimismo. Non hanno problemi con il proprio ego, non si fermano alla superficie. Tra una scena e l’altra loro cantavano e ballavano, mentre gli attori professionisti di norma si chiudono nel camper“.
Si fa anche riferimento allo scandalo che coinvolse la nazionale di basket paralimpica alle Paralimpiadi del 2000 a Sidney condannata per aver fatto partecipare giocatori senza disabilità. “E’ stata una truffa vergognosa. Questa storia è senza dubbio una delle ragioni che mi ha spinto a fare un film autentico, quindi girato interamente con attori con disabilità reali. Questo film tenta di normalizzare delle situazioni ingiuste di cui non siamo sempre coscienti. Nella nostra società purtroppo capitano delle cose spiacevoli a causa dell’ignoranza, della paura o anche solo per una conoscenza superficiale. Una delle grandi ingiustizie provocate dall’ignoranza è proprio il cattivo trattamento inflitto ad alcune persone per paura della loro differenza“.
Fesser pone il suo sguardo su quella che è la manifestazione del punto di rottura a cui si è giunti con i film denuncia sulla diversità che spesso contengono al loro interno la dicotomia normale/anormale, un’ambivalenza dannosa per chi rivendica la propria dignità di persona.