Viktor Polser è Lara in Girl di Lukas Dhont. Entrambi all’esordio rispettivamente come attore e come regista. Il primo è un ballerino e con Girl segna un debutto al cinema emozionante e di eccellenza. Dhont, al suo primo film, si presenta come una delle promesse più acclamate del cinema europeo. Girl, presentato in anteprima all’ultimo Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, in uscita in Italia dal 27 settembre, ha fin da subito ricevuto critiche positive da pubblico e addetti ai lavori. È un film onesto che con garbo e puntualità ci introduce alla vita dell’adolescente Lara, ci rende partecipi delle sue trasformazioni mentre insegue i suoi sogni. Trasformazioni. Al plurale. Lara è nata ragazzo e mentre è dedita, con tutta se stessa alla passione del balletto classico, vuole diventare una ballerina, affronta il percorso di transizione assistita che dovrebbe condurla alle tanto attese modifiche di un corpo che non riconosce come proprio.
Il giovane regista belga svela una sensibilità non comune nell’affrontare un tema così delicato. Senza mai scendere a compromessi, come una facile drammatizzazione dell’argomento nel processo narrativo, ci mette di fronte a situazioni e ritratti di contorno alla protagonista normalizzati. La storia dell’adolescente transessuale è scritta in contesti, familiare e socio-culturale, non ostili a Lara. Qui Dhont è già bravissimo a definire due aspetti della ‘questione’: famiglia e contesto sociale in cui vivono adolescenti transessuali non dovrebbero essere nemmeno cinematograficamente un ‘problema’. La normalità in cui vive Lara sortisce l’effetto della straordinarietà solo in chi vive ed è educato da una società in cui tutto quanto riguardi l’identità di genere, la sessualità ed il sesso sia ancora oggetto di ‘controllo’ e ‘discriminazione’ di un individuo cosiddetto diverso, come in Italia o in altri contesti religiosamente orientati.
Lara vive quindi una vita normale. Si trasferisce in Svezia con il padre tassista, Mathias, interpretato da Arieh Worthalter, e con il fratellino di 6 anni, Milo (Oliver Bodart). Anche il cliché della presenza femminile e materna come depositaria della sensibilità è assente. Tocca al padre incarnare il ruolo del genitore che aiuta e sostiene ogni passo di Lara lungo il percorso di transizione. Tocca la padre, come dovrebbe essere a prescindere da ogni superfluo ‘se’ e ‘ma’. Dhont non racconta nemmeno di una famiglia abbiente o particolarmente ‘acculturata’, educata alla ‘modernità’ dei costumi. La straordinarietà delle condizioni in cui si sviluppa la narrazione sta tutta nella normalità del contesto. Il racconto che si ascolta e si gode per immagini è quello della doppia sfida che Lara lancia a se stessa e al corpo che la sua persona incarna: da una parte il processo di transizione, lungo e difficile, monitorato costantemente da una equipe di medici e dal padre; dall’altra la dura disciplina che si impone per esaudire il suo sogno. Tra questi estremi, la difficoltà ed il dolore che pure si auto infligge nel tormento e nella turbolenza di un’età così complessa. Una lotta tutta personale, forte e commovente.
La storia di Lara è quella di un’adolescente come tanti ce ne sono. È la storia di una fragilità che si fa pianto improvviso mentre con affanno cerca di rispondere a domande e quesiti che solo possiamo immaginare, mentre si guarda allo specchio, mentre ascolta ed osserva i suoi coetanei, per trovare il suo posto. Ma è anche la scoperta di sé e della sua straordinaria forza di volontà, fatta di silenzi, sorrisi, dolcezza, maestosa presenza anche quando sembra non riesca ad andare oltre e sceglie di ‘essere sé’ presto, prima di un tempo che sembra imposto. Un adolescente come tanti: attesa e pazienza non sono contemplate a quell’età.
Girl è un film da vedere, da promuovere nelle scuole, da promuovere come film per le famiglie, soprattutto in società democratiche che hanno sdoganato il bullismo di genere, culturale, politico, razziale, come forme di pensiero legittimate dal numero di praticanti.