Al cinema dal 16 agosto, Most Beautiful Island è il debutto di Ana Asensio. La regista spagnola, già attrice di numerosi film e serie televisive, cala nella sceneggiatura molti passaggi da lei vissuti in prima persona quando era un’immigrata. Spunti biografici che aiutano la costruzione di un climax narrativo che caratterizza la pellicola, facendosi metafora socio-politica di un dramma – quello del lavoro e della crisi economica – che attanaglia sempre di più.
Cosa siamo disposti a fare per sopravvivere? Fino a che punto possiamo calpestare la nostra dignità pur di andare avanti? E’ questa la domanda che scorre per tutto il film.
Gran Premio della Giuria al SXSW (South by Southwest) Film Festival 2017, selezionato al 35º Torino Film Festival 2017 (solo per citarne alcuni) l’opera prima della Asensio è un turbino di emozioni claustrofobiche.
Un’opera dagli influssi alla Cassavates, così come dichiara la stessa autrice, e che si spinge sino alle atmosfere soffocanti e apprensive alla Kubrick.
Da subito la storia di Luciana (interpretata dalla stessa Asensio), giovane immigrata spagnola a New York, che lotta per sopravvivere mentre prova a fuggire da un traumatico passato, si delinea nella suo tragico excursus.
Per sopravvivere e guadagnare dei soli, infatti, accetta lavori di ogni sorta: una mattina distribuisce volantini pubblicitari mascherata da pollo, di pomeriggio fa la babysitter ‘sottopagata’ a due ingestibili e viziati bambini. Lei, che ha lasciato il suo paese natio per cancellare tragici avvenimenti, sta cercando di tenere lontano il ricordo di una figlia morta in un incidente stradale, e così resiste a New York che, per antonomasia in un immaginario comune, sembra essere ancora la ‘terra delle opportunità’. O almeno è così che la vede Olga, amica russa di Luciana, ex modella ora costretta insieme alla compagna a barcamenarsi con lavoretti infimi e poco redditizi.
Sarà proprio lei a proporre alla disillusa Luciana un lavoro occasionale non specificato. Il compito sarebbe quello di presenziare ad un party esclusivo in cambio di 2000 dollari, troppi soldi per rinunciarvi. Anche se il tutto si trasforma presto in un losco tour fra ristoranti cinesi malfamati, seminterrati e capannoni industriali in disuso, la posta è troppa alta perché Luciana possa tornare indietro. E quando raggiunge la fatidica ‘festa’, si ritrova in uno scantinato lugubre, con altre ragazze che attendono inesorabili il loro turno, sorvegliate da secondini senza scrupoli e alla mercé di un pubblico di folli riccastri.
Alla stregua di meri pezzi di carne vengono ‘comprate’ per essere scortate, una alla volta, dietro una porta da cui si alternano urla e applausi, sanno solo, a detta di una sadica matrona che gestisce il ‘gioco’, che qualcuno ci perde e qualcun altro ci guadagna. Bisogna solo capire chi e a che prezzo.
Sin dall’inizio del film, che si apre sull’umanità newyorkese, grazie all’utilizzo della steady mobile e che regala ‘false soggettive’, si percepisce un senso di ansia sottile pronta ad essere intensa quando Luciana viene reclutata da Olga. E’ nell’attesa di scoprire cosa accadrà alle ragazze e all’ignara Luciana che ‘Most Beautiful Island’ raggiunge l’apice della tensione; da subito si apre un racconto realista, un dramma privato e sociale insieme dove l’intimità, le paure, e le drammatiche quotidianità sommerse dalla frenesia di un mondo cieco, emergono irrimediabilmente.
Un film che tratta temi forse non innovativi ma che si dimostra troppo intimo e troppo vero per non essere apprezzato.