All’inizio del 2018, decine di membri della comunità di Salt River e attivisti di Reclaim the City hanno occupato l’Old Biscuit Mill di Città del Capo, un mercatino alla moda, per protestare contro lo sfratto dei residenti da un luogo dove sorgerà un parcheggio per i clienti del mercato. Il regista Kurt Orderson era lì per documentare tutto.
Con l’uso della camera a spalla, dreadlocks annodati e penzoloni lungo la schiena, Orderson ha documentato l’esperienza di intere famiglie buttate fuori dalle proprie case per lasciare il posto ai grandi speculatori che sfruttano il valore dei luoghi al solo fine di accrescere il capitale.
Il risultato è il documentario Not in My Neighborhood, presentato in anteprima internazionale all’Ortigia Film Festival di Siracusa per raccontare la gentrificazione in atto in tre diverse parti del mondo, Sudafrica, Brasile, Stati Uniti. Un fenomeno molto simile al colonialismo che ha visto i prezzi delle proprietà salire alle stelle in aree storiche di grande pregio. Qui nuovi edifici costruiti o ristrutturati con gusto, appartamenti, uffici, ristoranti, gallerie d’arte, caffè, enoteche e boutique di modernariato vanno a prendere il posto prima occupato da famiglie con un reddito più modesto. Il trasloco forzato delle persone segue quello delle piccole attività commerciali di carattere familiare, che significa la trasformazione dei quartieri non solo a livello sociale, ma identitario e culturale.
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Dietro la realizzazione di questo spazio di potere, ci sono storie di distruzione culturale, di sopraffazione dei ricchi e forti economicamente sulle ragioni dei cittadini, perché chi comanda, da sempre nel tempo, domina anche fisicamente. Nelle sequenze girate a New York nelle zone storiche di Brooklyn, Williams e Harlem, si vedono i proprietari che non indietreggiano davanti a niente per intimidire i residenti e costringerlo a lasciare gli edifici destinati a diventare asettici spazi dedicati alla movida e allo shopping.
Questi fenomeni di espulsione e sostituzione degli abitanti sono evidenti soprattutto in realtà polarizzate come quella brasiliana. Le favelas sono ormai entrate di fatto a far parte del mercato immobiliare adeguandosi ai prezzi. Con l’aumentare dei prezzi delle proprietà i residenti più poveri, anche quelli che possiedono il terreno su cui vivono, sono stati costretti a spostarsi nelle aree più esterne della città. Guardando il documentario si intravede un barlume di speranza per forme di resistenza o resilienza da parte di chi cerca di reagire con coraggio alle logiche capitaliste. Accade così anche per gli abitanti di un palazzo occupato di San Paolo, costretti ad installare un sistema di telecamere a circuito chiuso per fermare le irruzioni di poliziotti al soldo degli affaristi.
In tempi in cui ricchezza e povertà, ignoranza e cultura, benessere e malcontento convivono generando sempre più violenza, Not in My Neighborhood cerca di restituire un senso di identità a luoghi il cui valore non è solo immobiliare. È fatto di storia, di cultura ed umanità.