Ammiratori delle produzioni della Ghibli e professionisti di talento del mondo dell’animazione giapponese hanno unito le loro forze per fondare una nuova società di produzione chiamata Studio Ponoc, una parola croata che vuol dire “mezzanotte”. Tra questi c’è Hiromasa Yonebayashi.
Per il suo primo lungometraggio, il regista di Arrietty, uscito nel 2010 è stato il film giapponese di maggior incasso nell’anno della sua uscita in sala, e di Quando c’era Marnie, racconta una storia che parla di bambini che vivono in un mondo in cui la magia del XX° secolo ha perso il suo potere. “Mary e il fiore della strega”, nelle sale dal 14 giugno, distribuito da Lucky Red, è un delicato rimescolamento di tutto quello che Yonebayashi ha imparato durante i quasi vent’anni trascorsi allo Studio Ghibli.
La storia, tratta dal racconto per bambini “La piccola scopa”, scritto nel 1971 dall’autrice inglese Mary Stewart, molto tempo prima di Kiki- consegne a domicilio e della serie di Harry Potter, esplora il mondo delle ‘streghe’, lo stesso scelto in passato dal maestro Hayao Miyazaki.
Il film si apre con una sequenza d’azione brillantemente eseguita in cui una misteriosa giovane strega ruba il fiore magico da un castello strano e fugge a cavallo di una scopa, mentre uno sciame di creature simili a pesci seguono la sua scia. Finisce per far cadere i fiori che toccando il terreno esplodono in un lampo di colori scintillanti che diventano alberi di una foresta incantata.
Più tardi, incontriamo finalmente Mary Smith: una ragazzina lentigginosa e dai capelli rossi. È allegra e vivace, giovane e innocente, ma i suoi modi impacciati le complicano la vita. Mary passa il tempo a giocare nel bosco ed è qui che inciampa su due cose che la trascinano in una strana avventura: un gatto nero scontroso di nome Tib, e un ramoscello di quei fiori magici blu che abbiamo visto per la prima volta nel prologo.
Mary e il fiore della Strega non è un tradizionale racconto sulla magia. Quando ad un certo punto, Mary non può più dipendere dalla magia del fiore, deve fare appello alla sua forza interiore per dimostrare di cosa si è capaci solo con un po’ di coraggio. Il cammino verso la maturità della protagonista diventa così parallelo a quello del suo creatore che ha deciso di continuare a realizzare film da solo, dopo la chiusura ufficiosa del mitico Studio.
Ma è la semplicità, il segreto del regista Hiromasa Yonebayashi, che evita la sofisticazione narrativa a favore della narrazione lineare e di personaggi ampiamente disegnati. Il regista lentamente stringe l’obiettivo sul rapporto ambiguo tra l’esuberanza giovanile (buona) e il cinismo adulto (cattivo) del mondo.
Con la sua eroina preteen, le fantastiche sequenze di volo e l’immaginazione sconfinata, la storia affonda così in una vecchia poltrona comoda pur trattando temi toccanti. Tutto ruota intorno ad una domanda di fondo: quanto può essere sfruttata la natura per ragioni egoistiche e abbiamo il tempo per rimediare ai danni che causiamo?