Presentato alla 68esima edizione del Festival di Berlino, nella sezione Panorama, La terra dell’abbastanza, film d’esordio dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, sarà proiettato nelle sale italiane a partire dal 7 giugno.
I due giovani D’Innocenzo, figli della periferia romana, come i protagonisti della storia che hanno scritto e messo in scena, hanno studiato presso un Istituto Alberghiero. Hanno sperimentato la multiversa e controversa condizione dell’essere flessibili e precari nel mondo del lavoro. La loro passione per il cinema, autodidatti puri, ha invece creato Mirko e Manolo, personaggi immaginari che incarnano i nativi di riserve urbane dall’anima lunare, sospesa tra la poetica del semplice e l’estetica delle personalità borderline e che incontriamo, da subito insieme, in un quartiere di periferia, ma non quella grigia e claustrofobica che alberga nell’immaginario. È la periferia che non si addossa più alla città, non si stringe alla ‘vita’ come una vecchia cintola, per non rimanere a brache calate troppo a lungo. I fratelli D’Innocenzo hanno scelto infatti una terra che si nutre di distanza geografica dal centro, per forza, per volontà di coloro che l’hanno disegnata, edificata e lo Stato, la giustizia, la legge, l’ordine in uniforme non hanno fisionomia: troppo ‘lontani’, anche da raggiungere nell’unica scena in cui appare la scritta Polizia.
La fotografia di Paolo Carnera restituisce una morfologia di rari orizzonti ed altrettanti punti di fuga, mentre si consuma con inquadrature di dettaglio, con il sottofondo jazzato di Toni Bruna, lo squilibrio emozionale tra la quotidianità dei personaggi che schiaccia al suolo con un tonfo e lo slancio ad inseguire uno di quei punti di fuga, mai sogno né prima né dopo l’alba.
Le anime di Mirko e Manolo, interpretati dai bravi e convincenti Matteo Olivetti e Andrea Crapenzano, sono abituate a questa morfologia; vi sono assuefatte a tal punto da non avere consapevolezza di cosa sia la scelta tra la deriva criminale e qualcos’altro, perché qualcos’altro non ha nemmeno un significante plausibile che lo evochi.
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Dopo aver investito ed ammazzato un uomo, decidono di scappare e di rifugiarsi da Danilo (Max Tortora), padre di Manolo. Sarà proprio Danilo a scoprire che l’uomo ucciso è in realtà un ‘infame’ in fuga e che i due amici hanno involontariamente fatto un favore ad Angelo (Luca Zingaretti), un capetto malavitoso che Danilo conosce da tempo e che ammira. Nella sua maligna banalità, Danilo coglie al volo l’opportunità di ingraziarsi Angelo, entrare nel giro per imprimere una svolta di vita per sé e Manolo. Mirko e Manolo saranno inseparabili anche in questo capitolo di esistenza: manovalanza criminale, fattorini di droga e preservativi da consegnare a prostitute straniere, bambine abusate, con la speranza di convincere il boss che il loro vero talento è l’ammazzare gente.
Le rare ribellioni delle loro coscienze sono messe a tacere dall’aggressività che sfoga il rifiuto del giudizio e dalla rinuncia a pensare, nemmeno Alessia (Milena Mancini) madre di Mirko saprà sottrarsi alla miseria dell’accettazione supina di un ineluttabile destino cui i ragazzi andranno incontro.
In La terra dell’abbastanza non ci sono eroi e nemmeno antieroi, né geni del male né modelli morali: è un racconto senza redenzione in vita, né per i personaggi né per i luoghi. Una disincantata narrativa che palesa il merito maggiore della prova dei fratelli D’Innocenzo: da una parte la borgata non più salvata dal cliché che la identifica, spesso anche cinematograficamente, come ultimo baluardo di umanità o di comunità possibile; dall’altra il binomio giovinezza-criminalità sottratto alla fascinazione glamour cui abbiamo spesso assistito in serie TV e film, ben accolti da critica e pubblico. La terra dell’abbastanza è un buon film. Quando i titoli di coda cominciano a scorrere si prova una sensazione di mesto e scontato disagio, al di là dello stesso valore dell’opera filmica: è la messa in scena di una storia probabile e realisticamente attuale.