Nel 1992, all’indomani degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli uomini delle loro scorte, Felice Laudadio, da sceneggiatore e produttore, e Margarethe von Trotta da regista, decisero di reagire al loro sgomento con il cinema (“l’unica cosa che potevamo fare”, ricorda l’autrice di “Anni di piombo”). Ne nacque un film, “Il lungo silenzio”, riproposto al Bif&st in versione restaurata prima di un incontro cui hanno preso parte, oltre a Laudadio e von Trotta – oggi rispettivamente direttore e presidente del Bif&st – due ex magistrati e un magistrato in servizio, tutti e tre pugliesi e legati in modi diversi a questa edizione del Festival: Michele Emiliano, Governatore della Regione Puglia, Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo, rispettivamente presidente della Giuria del Panorama Internazionale e della sezione ItaliaFilmFest.
Se il film intendeva riflettere sulle condizioni di vita nelle quali erano costretti all’epoca (ma in parte ancora oggi) i magistrati e le loro mogli o compagne, costantemente e strettamente sotto scorta, il tema è stato riproposto nell’incontro moderato dallo stesso Laudadio, alla luce delle esperienze dei partecipanti.
Gianrico Carofiglio, che è stato Procuratore Antimafia a Foggia e poi a Bari, la sua città, ha vissuto sotto scorta per cinque anni e ricorda come fossero in pochi, allora, ad avere protezione per le indagini che stavano conducendo: “Il fenomeno delle minacce ai magistrati fu sottovalutato per troppo tempo eppure bisognava capire da subito che uccidere chi si occupava di criminalità organizzata era una prospettiva sensata, da parte di chi ordinava gli omicidi, in quanto difficilmente il giudice colpito sarebbe stato sostituito con colleghi dalle stesse esperienze e conoscenze. Oggi molto è cambiato perché c’è stata una spersonalizzazione delle indagini, per cui non esistono più bersagli efficaci, non ha più senso uccidere un singolo magistrato. E poi non dimentichiamo che tutti coloro che quegli omicidi li hanno ordinati o commessi sono tutti in galera, perché il contrasto al fenomeno è stato efficace e i magistrati, nel tempo, si sono dotati di strumenti culturali e giuridici che gli hanno consentito di ottenere enormi risultati.”
Anche Michele Emiliano ha vissuto sotto scorta, per ben 12 anni: “Tutto iniziò con l’omicidio del magistrato, già politico, Cesare Terranova che, ai tempi, era in procinto di diventare Giudice Istruttore a Palermo e che aveva soltanto un uomo a occuparsi della sua sicurezza. Da lì si passò a un programma di protezione più incisivo ma devo dire che all’inizio venivamo dotati di automobili inadeguate allo scopo, non potevano neppure superare gli 80 chilometri all’ora e avevano blindature meno efficaci. Io ricordo che quando stavamo facendo le indagini sulla Sacra Corona Unita, più che paura sentivamo la voglia di sfidare i criminali. Non ho mai sofferto la mia condizione perché la causa che portavamo avanti era giusta. E voglio sottolineare come tante altre categorie correvano rischi e hanno pagato il loro lavoro con la vita, dagli stessi poliziotti a tanti giornalisti.”
Giancarlo De Cataldo non ha mai avuto una scorta, anche se da Giudice alla Corte d’Assise di Roma si è occupato della cosiddetta Banda della Magliana e ha così commentato il film: “Il lungo silenzio è un un’opera calda e intensa che racconta un Paese che non c’è più, non solo iconicamente, per la presenza dei primissimi cellulari, della cabine telefoniche, dei computer antidiluviani e i televisori con il tubo catodico. Ma anche perché, all’epoca, un magistrato colpito suscitava indignazione, provocava una forte reazione da parte della società civile, si facevano le fiaccolate cui partecipavano centinaia di persone. Oggi abbiamo una perdita di tensione e una catastrofe culturale che si è abbattuta sulla figura del magistrato, che un tempo veniva difeso almeno da una parte politica e ora è oggetto di accuse da parte di tutti. Dire ‘magistrato’, oggi, sembra quasi una parolaccia”.
Prima di girare il film, Margarethe von Trotta volle incontrare diverse mogli e compagne delle vittime di mafia raccogliendo le loro commoventi testimonianze. Tra loro anche la moglie di Cesare Terranova, Giovanna, la cui lettera-testamento del marito, con pochissime modifiche, è stata inserita in “Il lungo silenzio” come rivolta dal magistrato interpretato da Jacques Perrin alla moglie Carla Gravina.
Le mogli delle vittime della mafia erano presenti, insieme a molti magistrati e alle loro scorte (“una parte della sala sembrava un fortino sotto assedio”) a politici e gente comune, all’anteprima mondiale di “Il lungo silenzio” a Palermo nel marzo del 1993. Racconta Laudadio: “Al termine della proiezione si alzò una donna, ringraziò per il film, disse che si era riconosciuta nel ritratto di solitudine e dolore del personaggio di Carla Gravina e poi gelò tutti i presenti: ‘qui stasera c’è uno dei mandanti dell’assassinio di mio marito’. Fu una cosa sconvolgente. Pochi giorni dopo, il cinema dove era stato proiettato il film andò a fuoco. Da quel momento Il lungo silenzio, per il quale era stata prevista una vasta distribuzione da parte dell’allora UIP (oggi Universal) cominciò ad essere eliminato dalla programmazione degli esercenti, ne furono distribuite solo 30 copie rispetto alle 150-200 previste, fu addirittura oggetto di una indagine della magistratura che ne chiese formalmente una copia all’associazione dei produttori. E ciò nonostante avesse un cast di richiamo – sia Jacques Perrin che Carla Gravina erano sulla cresta dell’onda – c’era una regia prestigiosa come quella di Margarethe von Trotta. Insomma, andò malissimo, diventò presto invisibile, e al suo insuccesso penso che contribuì anche una recensione molto negativa da parte di un critico influente. Per fortuna andò molto bene all’estero, partecipò a molti Festival e vinse anche tre Globi d’Oro, che è appunto assegnato dai giornalisti della stampa estera accreditata in Italia”.
Nel corso dell’incontro, anche un confronto sui fenomeni criminali attuali legati alla finanza, al traffico d’armi e quello internazionale di stupefacenti. Anche conducendo operazioni che solo apparentemente sono legali: “Ma sono sempre condotte” – ha specificato Michele Emiliano – “con l’esercizio di pressioni indebite e dunque con metodi mafiosi”. Da combattere, come hanno puntualizzato tutti i partecipanti – con strumenti nuovi, moderni e soprattutto con la stretta collaborazione tra tutti gli attori coinvolti, dalla magistratura all’intelligence a livello europeo.