Con Peccatori, Ryan Coogler firma il suo primo film originale da oltre dieci anni. È un horror gotico, ambientato nel Mississippi del 1932, dove due fratelli gangster tornano a casa per aprire un locale per la comunità nera. Ma la notte dell’inaugurazione, qualcosa va storto: la musica richiama vampiri. Sembra un film di genere, e lo è. Ma Peccatori parla anche di religione, arte nera, appropriazione culturale, e liberazione. E non lo fa in modo sottile. Il film è ambientato in un giorno e una notte. Il ritmo iniziale è lento: si vedono i preparativi, i personaggi, la comunità. La parte horror arriva dopo. Ma serve. Serve a far capire quanto è in gioco. I protagonisti sono Smoke e Stack (Michael B. Jordan), gemelli con caratteri opposti ma legati. Con loro c’è Sammie, il giovane musicista interpretato da Miles Caton, al suo primo film. È lui il centro emotivo. E ideologico. Sammie è figlio di un pastore, e non crede più a quello che gli è stato insegnato. Il suo blues è libertà. E per qualcuno, una minaccia.
Durante il concerto, le sue note attirano Remmick, un vampiro. Entra nel locale. E inizia la strage. Ma i vampiri qui non sono solo mostri. Sono un’allegoria. Rubano sangue, ma anche musica, idee, espressione. Sono il volto sorridente dell’assimilazione culturale. Una metafora che funziona anche senza spiegazioni.
Il film, però, va oltre. Parla di fede come forma di controllo. Critica l’idea di “salvezza” imposta dall’alto. Mostra come la religione, soprattutto in certe comunità nere, possa essere uno strumento di repressione. Chi è dentro, non sempre ha scelto di starci. Parla apertamente di razzismo, di censura, di come l’arte nera venga sfruttata. Ma lo fa con il linguaggio del genere. Vampiri che bussano alla porta chiedendo di entrare. Nessuna spiegazione didascalica.