Quando parla del suo nuovo disco, La Niña – nome d’arte di Carola Moccia – non si sofferma molto su sé stessa. Preferisce parlare di Napoli, della lingua, delle voci che l’hanno attraversata, delle donne che resistono, delle strade che stanno cambiando troppo in fretta. Furèsta, in uscita il 21 marzo per BMG, è un disco che parte da tutto questo: da una città che conosce bene e da cui prende le distanze solo per guardarla meglio.
Il titolo, in dialetto, significa “straniera”, “forestiera”. Ma non c’è nessun esotismo né vittimismo. C’è piuttosto un senso di dislocazione, di spaesamento, che La Niña ha voluto trasformare in un punto di vista. “Il mio obiettivo non era raccontare me, ma aprire una porta su un mondo che è insieme personale e collettivo”, ha spiegato durante un incontro con la stampa. Il disco è stato scritto e prodotto con Alfredo Maddaluno, collaboratore di lunga data. È un lavoro che mette insieme diversi livelli di lettura e diverse tradizioni: la musica popolare napoletana, l’elettronica, la performance vocale, la poesia. In alcuni brani, come Tremm’ e Sanghe, le voci ospiti di KUKII e Abdullah Miniawy contribuiscono ad allargare ulteriormente il campo d’azione del disco, senza mai sembrare fuori posto.
Tra i brani più significativi ci sono Mammama’, costruito solo sulla voce e sul respiro, registrato in presa diretta all’Auditorium Novecento di Napoli, e Figlia d’‘a Tempesta, un brano corale e schierato che parla della condizione femminile con parole semplici e dure. La voce di LA NIÑA, che in passato abbiamo ascoltato anche al fianco di artisti come Franco Ricciardi, BigMama e Tosca, si muove in questi brani con grande libertà, alternando canto e parola, melodia e grido. A tratti sembra più vicina al teatro che alla canzone, ma non perde mai la musicalità. Ci sono anche momenti più lirici, come in Ahi!, una ballata dolente che racconta un amore finito male, e passaggi più evocativi e allegorici, come in Oinè, dove un gatto e un serpente si sfidano a colpi di parole in dialetto.
Il disco si chiude con Pica Pica, ispirata alle gazze ladre che facevano visita al suo giardino durante le registrazioni. Un brano che, tra suoni ambientali e immagini leggere, lascia intravedere una via d’uscita, o almeno una tregua. Non è l’ultimo giorno che canterai, ripetono gli uccelli nel finale.