Paul Schrader non è mai stato un regista che gioca sul sicuro. I suoi film, spesso centrati su uomini moralmente ambigui in lotta con un mondo crudele e indifferente, sono diventati un marchio di fabbrica. Con Oh, Canada- I Tradimenti , Schrader esplora un terreno simile ma con un approccio diverso, costruendo un racconto che si snoda tra riflessione esistenziale, memoria frammentata e una profonda ambiguità narrativa.
A più di 40 anni dal cult American Gigolo, il candidato Oscar® Paul Schrader torna a dirigere Richard Gere, regalando all’attore uno dei ruoli più intensi della sua carriera. Al centro del film troviamo Leonard FifeAl centro del film c’è Leonard Fife, interpretato da un Richard Gere in grande forma. I due di nuovo insieme dopo American Gigolò. Al centro del racconto troviamo Leonard Fife, un celebre documentarista che ha dedicato la sua vita a raccontare la verità altrui, ma che ora, sul letto di morte, decide di raccontare la propria. Un’esistenza straordinaria la sua, ma anche segnata da ombre: la fuga in Canada per evitare la leva durante la guerra del Vietnam, il successo come regista, e una serie di relazioni personali e professionali che non sono mai state del tutto trasparenti.
La narrazione si apre nel presente, con Leonard ormai malato terminale, accudito dalla sua devota moglie Emma (Uma Thurman). La coppia vive un’esistenza protetta, lontana dai riflettori, fino a quando due ex studenti di Leonard, ora affermati documentaristi, arrivano per realizzare un’intervista finale sulla sua carriera. Da qui, il film si trasforma in un viaggio nei ricordi di Leonard, un mosaico di verità e menzogne che il protagonista stesso fatica a distinguere. Schrader sceglie di giocare con il tempo, alternando momenti della vita adulta di Leonard, interpretato da Gere, con flashback della sua giovinezza, dove il personaggio è interpretato da Jacob Elordi. Ma, in un’operazione quasi brechtiana, Schrader lascia che anche Gere interpreti la sua versione più giovane in alcune sequenze, sottolineando la natura soggettiva e instabile del ricordo.
La scelta di Schrader di frammentare la narrazione riflette la mente di Leonard, ormai offuscata dal dolore e dai farmaci. Il film alterna il bianco e nero ai colori, cambia formati e proporzioni d’immagine, e mescola passato e presente senza soluzione di continuità. Questo approccio visivo non è solo un esercizio di stile; serve a immergere lo spettatore nell’esperienza soggettiva di Leonard, un uomo che sta cercando di mettere ordine in una vita caotica. Tuttavia, questa frammentazione rende il film difficile da seguire, creando un ritmo irregolare che a volte disturba l’immersione emotiva.
Non aiutano le molteplici contraddizioni che emergono nel racconto di Leonard. È un narratore inaffidabile, non solo per le sue condizioni fisiche e mentali, ma anche per la sua evidente volontà di riscrivere la propria storia. Le sue confessioni sembrano oscillare tra un desiderio di redenzione e un disperato tentativo di autoassoluzione, lasciando lo spettatore con il dubbio su cosa sia reale e cosa sia una costruzione della mente del protagonista. Questo livello di ambiguità può essere affascinante per alcuni, ma rischia di alienare chi cerca una narrazione più chiara e lineare.
Oh, Canada si propone come una riflessione universale su come costruiamo e decostruiamo la nostra identità nel corso della vita. Leonard è un uomo che ha vissuto molte vite: il giovane idealista che fugge negli anni ’60, il regista affermato degli anni ’80, l’uomo anziano che si confronta con la morte. Ogni versione di sé è in conflitto con le altre, e Schrader non offre risposte facili su quale sia la “vera” identità del protagonista.
Il tema della memoria è affrontato con una sensibilità che evita il sentimentalismo. Schrader sembra chiedersi: possiamo davvero fare pace con il nostro passato? O siamo condannati a riviverlo, rielaborarlo e riscriverlo fino all’ultimo istante? Nel caso di Leonard, la risposta non è chiara, e forse non lo è mai. La sua decisione di confessare tutto può essere vista come un atto di coraggio, ma anche come un ulteriore tentativo di manipolare il proprio lascito.
Come Leonard Fife, anche Schrader sembra voler lasciare un ultimo messaggio, un’ultima riflessione sulla condizione umana. E per quanto frammentata o imperfetta possa essere, è una voce che vale sempre la pena ascoltare.
Dal 16 gennaio al cinema, distribuito da Be Water Film in collaborazione con Medusa Film.