Davide Ferrario e Marco Belpoliti, con il loro Italo Calvino nelle città, presentato alla Festa del Cinema di Roma, tenta di intrecciare le città reali con quelle immaginarie, inseguendo l’ombra di Calvino attraverso luoghi fisici e mentali, accompagnati dalle interpretazioni di Valerio Mastandrea, Alessio Vassallo e Filippo Scotti.
Il documentario si apre con una frase che molti fan di Calvino potrebbero riconoscere: “Farò scrivere sulla mia tomba: ‘newyorkese’?” È un’affermazione ironica e malinconica, che racchiude l’ambivalenza dello scrittore verso l’America, un paese che amava e criticava con egual misura. È anche il punto di partenza per una riflessione più ampia sull’opera di Calvino e il suo rapporto con il mondo moderno. Ma non aspettatevi una biografia tradizionale: Ferrario e Belpoliti costruiscono una narrazione frammentata, specchio perfetto dello stile dello scrittore.
Trasporre l’universo di Calvino in forma visiva non è impresa semplice. Le sue città invisibili, le sue trame eteree e i suoi personaggi sfuggenti sembrano quasi rifiutare la concretezza dello schermo cinematografico. Ferrario, consapevole di questo, evita la trappola dell’iper-realismo o degli effetti speciali, scegliendo invece una strada più sottile e minimalista. Come ha spiegato lo stesso regista, l’obiettivo non era creare mondi fantastici, ma trovare nella realtà elementi che evocassero l’astrattezza e la suggestione delle città di Calvino.
In questo senso, la figura di Violante Placido, che incarna queste città invisibili, si sposa bene con l’idea di luoghi che esistono più nella mente del viaggiatore che sulla mappa. Tuttavia, questa scelta estetica potrebbe risultare eccessivamente contemplativa per alcuni spettatori, che potrebbero desiderare un coinvolgimento più diretto o emotivo. È un rischio che Ferrario corre consapevolmente, sapendo che il documentario, come l’opera di Calvino, richiede uno sforzo attivo da parte dello spettatore.
Una delle trovate più interessanti del documentario è l’utilizzo di tre attori diversi per rappresentare altrettanti aspetti della vita di Calvino. Valerio Mastandrea, Alessio Vassallo e Filippo Scotti non si limitano a interpretare l’autore in fasi diverse della sua vita, ma incarnano sfumature differenti della sua personalità. Mastandrea porta sullo schermo un Calvino più maturo e riflessivo, quasi disincantato; Vassallo rappresenta la fase giovanile, più leggera e idealista; mentre Scotti, con il suo volto da ragazzo, incarna l’innocenza e il desiderio di scoperta tipici delle prime esperienze letterarie. Il documentario, proprio come l’opera di Calvino, gioca con l’invisibilità e la sfuggente natura dell’identità.
A differenza di molti altri grandi scrittori del suo tempo, Calvino non ha mai voluto una biografia ufficiale. Marco Belpoliti sottolinea questa volontà di nascondersi, di restare in secondo piano, quasi a voler sfuggire alla macchina della celebrità. Il documentario riesce a rendere questa assenza di Calvino paradossalmente presente, giocando con le immagini e i silenzi per restituirci una figura sfuggente ma allo stesso tempo straordinariamente tangibile.
“Italo Calvino nelle città” non è un film per tutti. È un’opera che richiede un certo grado di familiarità con l’autore e una predisposizione a perdersi nelle sue atmosfere rarefatte. Tuttavia, per chi ama Calvino o per chi è disposto a mettersi in gioco, questo documentario rappresenta un viaggio affascinante attraverso la mente di uno degli autori più importanti del XX secolo.