Al centro della vicenda di Brennero, la nuova serie diretta da Davide Marengo e Giuseppe Bonito, e trasmessa in prima visione su Rai 1 dal 16 settembre al 7 ottobre 2024, vede al centro la PM Eva Kofler, interpretata da Elena Radonicich e l’ispettore Paolo Costa, Matteo Martari, due personaggi che incarnano le opposte anime di Bolzano: lei, fredda e precisa, figlia dell’élite tedesca; lui, impulsivo e determinato, italiano fino al midollo, segnato da un passato doloroso. Insieme, pur divisi da pregiudizi e diffidenze, dovranno affrontare il ritorno del “Mostro di Bolzano”, un killer che non solo uccide, ma scuote il fragile equilibrio tra le due comunità linguistiche.
Brennero, prodotta da Cross Productions, si distingue anche per una colonna sonora a tratti delicata ma incalzante e inquietante nei momenti giusti. La serie esplora temi profondi, come la ricerca dell’identità, la cicatrizzazione delle ferite interiori e la difficile convivenza tra culture diverse. “Il progetto ha attraversato un lungo percorso di scrittura”, racconta il regista Bonito. “Quando ho iniziato a lavorarci, provenivo principalmente dal cinema, quindi questa è stata solo la mia seconda esperienza con una serie TV, sebbene poi ne abbia fatte altre”.
Dopo le prime due puntate, Brennero sta ottenendo ottimi ascolti. Quali scelte registiche ti rendono particolarmente fiero?
“Fin dall’inizio, l’obiettivo è stato quello di creare qualcosa di autentico, sia a livello narrativo che formale, evitando un’impronta troppo derivativa, cosa che a volte accade in alcune produzioni. Abbiamo costruito la serie passo dopo passo, insieme a Davide Marengo, affinando l’approccio mentre procedevamo. Eravamo molto consapevoli del tipo di storia che volevamo raccontare, perché le dinamiche, anche conflittuali, erano intrinsecamente legate al territorio che stavamo esplorando. Uno degli aspetti di cui vado più fiero è il nostro approccio onesto: non ci siamo fermati a seguire una struttura predefinita, ma abbiamo voluto entrare in profondità nelle tensioni che narravamo. Questi conflitti non solo toccano molte persone, ma riflettono una realtà radicata nel tempo che, oggi, trova una sintesi affascinante.
Hai fatto riferimento al luogo, un posto piuttosto isolato. Quanto ha influenzato il contesto geografico il tono della serie?
Moltissimo. Abbiamo girato molto a Bolzano, ma anche nelle valli e montagne circostanti, e questo ha inevitabilmente influito sul tono della serie. C’è un’atmosfera piuttosto fredda, tipica dei crime, ma è bilanciata dalla vicenda umana dei personaggi. Mi piace pensare che la serie abbia sì un tono rigido e crudo, perché è un crime a tutti gli effetti, ma al contempo c’è un cuore caldo al centro della storia. Ci sono relazioni complesse, come quella tra Eva, che appartiene alla comunità di lingua tedesca, e Paolo, un personaggio italiano. Inizialmente ci sono i pregiudizi che ci si potrebbe aspettare, ma quando due esseri umani sono costretti a dipendere l’uno dall’altro, le cose inevitabilmente cambiano.
Si può dire che la serie esplori anche un confronto culturale, visto il contesto bilingue?
Assolutamente. Abbiamo girato in un luogo in cui tutto, dalle indicazioni stradali alle insegne, è scritto in italiano e in tedesco. Questo dualismo è onnipresente e ci siamo abituati, anche noi del cast e della troupe, a questa convivenza. Dopo un po’, sembrava normale. Tuttavia, oltre a questo aspetto culturale, ci siamo concentrati anche sull’evoluzione dei personaggi. La storia riprende elementi del passato, come un cold case, ma il pubblico è attratto soprattutto dalle vicende personali, dai conflitti interiori che emergono.
Cosa pensi renda così intrigante, agli occhi del pubblico, una storia di un caso irrisolto?
È una storia che si svolge in un contesto di confine, dove convivono culture e lingue diverse. Questo è un tema attuale, perché anche oggi viviamo in una realtà fatta di confini e di convivenze complesse. Il caso da risolvere è un punto di partenza, ma dietro c’è molto di più: è una storia di redenzione e giustizia. Enrico, il pubblico ministero, sente il bisogno di risolvere questo caso non solo per motivi professionali, ma anche personali. È l’unico caso che suo padre, un ex giudice, non è mai riuscito a risolvere. Quindi, per Enrico, risolvere questo caso rappresenta anche un’occasione per scoprire se stesso e affermare la propria identità.