Ottimo esordio per Vermiglio di Maura Delpero, un film che, dopo aver vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, ha conquistato anche il pubblico, debuttando al cinema giovedì 19 settembre. In poco tempo è entrato nella top ten del box office, registrando un incasso di 132.737€ con una media per copia impressionante, quasi 5.000€ per sala, la più alta della classifica. Da questa settimana il numero di copie in circolazione salirà a 70, confermando la strategia distributiva come un successo, secondo Andrea Occhipinti, il quale ha sottolineato l’importanza del passaparola e l’idea di una distribuzione mirata, che permetterà al film di raggiungere anche le sale delle province.
Vermiglio, esordio in concorso della Delpero, è ambientato nel 1944, in un piccolo villaggio di montagna in Trentino. Il racconto si concentra su una famiglia di quel microcosmo, le cui vite vengono attraversate dall’ombra della Seconda guerra mondiale. Le tre sorelle, Ada, Flavia e Lucia, stanno crescendo in un contesto lontano dai combattimenti, ma l’arrivo di un soldato fuggito dal fronte spezza la fragile tranquillità, generando una serie di eventi che scuoteranno la famiglia e la comunità. Con l’amore, il matrimonio e la nascita di una figlia, il film mette in scena il paradosso per cui, proprio quando il mondo sembra ritrovare pace, la famiglia perde la propria.
Suddiviso in quattro capitoli, ciascuno legato a una stagione, Vermiglio non è solo una storia sulla guerra, ma una riflessione profonda sulla vita di montagna, dove tutto è scandito dai ritmi naturali e ciclici. Il villaggio diventa un luogo in cui dopo ogni stagione si può morire e rinascere, e dove la figura centrale del padre, interpretato da Tommaso Ragno, domina come maestro e pilastro severo della comunità. Attorno a lui ruotano personaggi interpretati da un cast eccellente, tra cui Giuseppe De Domenico, Roberta Rovelli, Martina Scrinzi e Sara Serraiocco.
Delpero, il cui padre era maestro in una comunità di montagna, porta sullo schermo un’umanità profonda, fatta di piccoli gesti quotidiani e di un isolamento che definisce la vita di villaggio. La scelta di utilizzare una lingua italianizzata, senza calcare troppo sul dialetto, permette di preservare un’accessibilità universale pur mantenendo la ricchezza simbolica delle tradizioni locali.
In questo contesto storico, segnato dall’occupazione tedesca in Trentino dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la guerra resta una presenza invisibile ma pesante: la fuga dal fronte, l’attesa del ritorno dei figli, i lutti sono parte della vita di questa comunità, dove le donne, caricate di ulteriori responsabilità, trovano nella maternità una forza simbolica per resistere. Questo tema della maternità, centrale anche nel precedente film di Delpero, Maternal, emerge con forza in Vermiglio, come simbolo di speranza e sopravvivenza.
La memoria non viene trattata qui come una semplice nostalgia del passato, ma come un deposito vivo di esperienze che si tramandano. Nelle immagini di un villaggio che sopravvive alla guerra, ai lutti e alle stagioni, emerge una riflessione più ampia sul rapporto tra uomo e ambiente, tra tradizione e modernità. Il giovane soldato fuggito dal fronte rappresenta una modernità fragile, in contrasto con il rigore della montagna e dei suoi cicli immutabili, mentre la neve, che spesso domina le scene, sembra attutire ogni suono, annullando la frenesia del mondo esterno.
Vermiglio si inserisce nel filone del cinema che esplora l’animo umano attraverso piccole storie personali intrecciate alla grande Storia, ma senza cedere alla retorica o al realismo nostalgico. La regista, con uno sguardo delicato ma potente, restituisce un mondo rurale ormai perduto, ma non idealizzato, capace ancora di parlare a noi oggi con la sua autenticità e la sua forza emotiva.