Era da un po’ che si preparava. questo momento, Donatella Di Pietrantonio. Vincere il premio Strega, la consacrazione al Tempio, L’età fragile, editore Einaudi, romanzo dedicato «a tutte le sopravvissute». Dunque una vittoria attesa, lasciando dietro Dario Voltolini con Invernale, edito dalla casa editrice La nave di Teseo e l’autrice di Scauri, Chiara Valerio con Chi dici e chi tace. E’ stata lunghissima l’attesa, visto che Di Pietrantonio ha debuttato a 50 anni, ora ne ha 62, e che quella che poteva rimanere la Vivien Maier della letteratura italiana, in 12 anni ha bruciato le tappe e surclassato le più giovani colleghe.
Profondamente radicata nella sua terra, l’Abruzzo, dove è nata, in particolare ad Arsita, Teramo, Di Pietrantonio esercita e continua ad esercitare la professione di odontoiatra pediatrico, profondamente calata quindi nella vita delle persone e nella realtà del Paese.
E non è dunque bene che sia così, nonostante ci sia chi storce il naso e allude a “narrativa della provincia”? Non è forse vero che il nostro Paese è principalmente il Paese degli ottomila comuni, delle aree interne, retto su comunità che si spopolano e poche città metropolitane dove la vita comune si sfrangia? Tantopiù che la scrittura di Di Pietrantonio si eleva robusta ed elegante e la trama si sviluppa con sapienza.
Nel 2011 Di Pietrantonio esordisce con il romanzo Mia madre è un fiume, ambientato nella sua terra natale, e dove ripercorre il rapporto di una figlia con la madre affetta da Alzheimer.
Nel 2013, il suo secondo romanzo, Bella mia, è dedicato all’Aquila e basato sul terremoto del 2009, ma dove c’è una donna costretta a improvvisarsi madre. Con questo libro vincerà nel 2014 il premio Brancati. Il successo bacia ancora l’autrice che nel 2017 con il terzo romanzo, L’Arminuta; Abruzzo, anni Settanta,«la ritornata» (arminuta in dialetto) racconta di una ragazzina di tredici anni, adottata, che torna sulle tracce della madre naturale. Il libro vince il Premio Campiello, viene tradotto in 30 lingue, diventa un film.
In L’età fragile una figlia che aveva desiderato andarsene dal paesino abruzzese in cui era cresciuta per vivere a Milano, torna a casa, con l’ultimo treno prima del lockdown del 2020. Il ritorno a casa, traumatico, oscuro, il ritiro nella propria stanza, si incrocia con l’inconscio della madre, da cui emerge un evento shoccante che aveva cercato di rimuovere. Un destino parallelo affianca le due solitudini che solo nella natura troveranno un punto di contatto.
Coppie al femminile, quindi, principalmente madri e figlie, con fragilità che si affrontano e la ricerca di poter trovare punti di contatto attraverso i quali far filtrare un po’ di bene. Scenari e personalità che parlano alla contemporaneità a partire dal titolo del romanzo che ha vinto lo Strega. “Mi impegno a usare la notorietà che il premio conferisce in difesa di diritti per cui la mia generazione ha molto lottato e che oggi non sono più scontati”, ha affermato la scrittrice a Villa Giulia ricevendo il Premio. Ma niente più della scrittura e di decine di migliaia di lettori può fare per aiutare a entrare nell‘essenza delle storie delle donne di oggi.
La letteratura, tuttavia, salva anche quando non denuncia. Salva in sé, scavando nell‘animo umano e si spinge più in là della nostra vita e della nostra immaginazione.
Ed è questa la strada che la letteratura deve percorrere per farsi grande. Analizzando le indubbie alte qualità del lavoro e dell‘ultima opera di Di Pietrantonio, lo studioso e critico letterario Gianluigi Simonetti, che, analizzando i Premi Strega 2024, ha definito L’età fragile un «libro di conferme, nel bene e nel male», suggerisce: «Forse per Di Pietrantonio è arrivato il momento di scegliere: restare la scrittrice efficace, sicura e perbene che certamente è», oppure <<sottrarre il suo indubbio talento narrativo alla gabbia delle simmetrie, lasciarlo libero di indagare le sue (e le nostre) contraddizioni, spingere più in là la sua letteratura».