Nella cornice di una Roma insolita e multietnica, lontana dagli stereotipi da cartolina e dai racconti delle periferie, emerge una narrazione profonda e toccante grazie anche all’interpretazione di Isabella Briganti. Il film Holy Shoes, opera prima di Luigi di Capua, è un’elegante narrazione sull’ossessione verso gli oggetti che hanno per noi un valore che va oltre quello strettamente legato alla materia. In questa intervista, l’attrice, che interpreta la madre di Goffredo nella serie Rai Mameli, ci racconta come ha affrontato la sfida di dare vita a un personaggio complesso come Agnese, una presentatrice di successo la cui vita viene stravolta da un trauma.
“Vivere a Roma, una città che percepiamo come una terra di nessuno, non è facile per una persona come Agnese. La sua vita è vuota, focalizzata solo sulla bellezza e la carriera”. Briganti racconta che per il ruolo ha studiato la vita di varie presentatrici, attrici e influencer. “Non volevo copiare nessuna di loro, ma osservare le loro traiettorie mi ha fatto capire quanto spesso queste persone non siano felici né in pace con se stesse, nonostante la fama”.
Ad Agnese viene amputata una gamba e perde tutto ciò su cui aveva investito. Briganti spiega che per portare sullo schermo lo smarrimento di chi non ha più punti di riferimento ha dovuto fare i conti con i suoi traumi personali. “È stato doloroso, ma anche liberatorio. Freud ci insegna che i traumi dell’infanzia agiscono sempre, anche se sotto traccia, influenzando chi siamo. Aprire vecchie ferite mi ha permesso di dare autenticità al personaggio, trasformando il dolore in forza creativa”.
Holy Shoes, al cinema dal 4 luglio con Academy Two, esplora il tema degli oggetti e, in particolare l’acquisto compulsivo di scarpe che secondo la psicologia risponderebbe alla necessità di colmare un vuoto esistenziale. “Durante le riprese, ho iniziato a cambiare la mia percezione sulle cose che fanno parte della nostra vita e il loro ruolo nei cambiamenti della società. Se parliamo di scarpe, ho capito quanto la scarpa con il tacco abbia contribuito alla rivoluzione sessuale della donna. Gli oggetti acquisiscono un’anima quando noi gli conferiamo significato. Questo film mi ha fatto riflettere sul potere disfunzionale degli oggetti che spesso ci offrono una gratificazione emotiva immediata ma di breve durata. È facile essere intrappolati nel desiderio di possedere, dimenticando ciò che è veramente importante”.
Gli oggetti entrano in gioco nel linguaggio non verbale. Dalle scarpe indossate da una persona si possono dedurre aspetti, non solo del suo status, ma soprattutto tendenze emotive. “Ho iniziato a vedere l’abbigliamento e le scarpe non solo come beni materiali, ma come estensioni della nostra identità. Ho riconosciuto che ogni oggetto può avere un significato profondo, ma è essenziale non farsi consumare dal desiderio di avere tutto quello che vediamo. La consapevolezza di quanto possiamo diventare schiavi degli oggetti è stata una lezione preziosa”.
Un messaggio di liberazione da una schiavitù di cui siamo un po’ inconsapevoli spinti da una società dive non esisti se non possiedi. “Agnese, dopo aver toccato il fondo, rinasce. Questo ci insegna che possiamo trovare la felicità solo se troviamo il coraggio di svincolarci dai fardelli inutili che ci trasciniamo per tutta la vita. Il film è un invito a riscoprire i veri valori della vita e a non lasciarci condizionare dai modelli sbagliati di chi muove le fila invisibili delle nostre vite”.