“Supersex si apre a Parigi nel 2004 con Rocco Siffredi invitato ad una convention sul sesso dove annuncia al mondo del porno il suo ritiro dalle scene. Anche se invocare il nome di Federico Fellini potrebbe sembrare fuori luogo, SuperSex, serie targata Netflix, ha un vago sentore di Amarcord, almeno quando ci porta agli albori del personaggio.
Siamo nel 1974, in un piccolo paese della costa italiana, e il piccolo Rocco Tano, ancora all’oscuro dei piani da pornostar che il destino ha in serbo per lui, vive con la madre Carmela (Tania Garribba), il severo padre Gennaro (Pietro Faiella) e un gruppo di fratelli. Il maggiore è Tommaso (Francesco Pellegrino), la cui fidanzata Lucia (Eva Cela) è oggetto delle lussureggianti attenzioni di ogni ragazzo della zona, compreso Rocco. La madre biologica di Tommaso non è Carmela ma una prostituta che lo ha abbandonato alla nascita, e Lucia (interpretata da Jasmine Trinca) è conosciuta in paese come una “troia”.
La miniserie di sette episodi, presentato in anteprima mondiale alla 74ª edizione del Festival di Berlino e dal 6 marzo disponibile su Netflix, è stata creata e scritta da Francesca Manieri, con la regia di Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni.
La trama prende spunto dalla vita di Rocco Siffredi, per farne una biografia romanzata. Nei panni del pornodivo, Alessandro Borghi si trova a maneggiare materiale complesso tra legami famigliari e una mascolinità tossica tipica di quegli anni.
Sfogliando la rivista porno Supersex (dal nome del suo personaggio principale), Rocco entra in contatto per la prima volta con le sue pulsioni erotiche e a sperimentare il sesso, il suo nuovo superpotere. Dopo essersi trasferito a Parigi, inizia un nuovo capitolo della sua vita. Il resto, come si suol dire, è storia.
Per quanto sia ridicolo sentire il personaggio descrivere l’eroe di un fumetto porno come il suo supereroe “idolo”, c’è una componente di misoginia sottostante in quella visione del mondo che porta Rocco a credere che la potenza sessuale sia l’unità di misura del vero uomo, ovvero colui che afferma il proprio controllo sulle donne in ogni momento, spesso in modi violenti.
Lo show non incoraggia nessuno di questi atteggiamenti, al contrario assume una posizione critica ma non riesce ad articolare la sua tesi sui motivi che hanno portato Rocco Siffredi a condividere il suo “pene gigantesco donato da Dio” con il maggior numero possibile di donne.
Borghi è la voce narrante, disseminata in tutti gli episodi, che descrive la sensazione di vuoto che accompagna le numerose conquiste del suo personaggio. Sembra che la serie punti a dimostrare che per Rocco Siffredi fare sesso con legioni di donne fosse meno una questione di piacere e più un viaggio egocentrico compulsivo guidato da un machismo insicuro.
Non si vuole idealizzare Siffredi o l’industria del porno, bensì a esplorarne la complessità e le contraddizioni di un personaggio che ha trovato nel sesso una via di fuga dalla famiglia e da se stesso.
Sebbene la maggior parte della narrazione ruota attorno a Rocco e alle persone che lo circondano, in particolare suo fratellastro Tommaso (Adriano Giannini), un accenno lo merita il tanto pubblicizzato contenuto sessuale. E qui assistiamo a tanta normalità. Sullo schermo si muovono corpi cisgender magri, senza peli, bianchi, che si impegnano in atti eterosessuali, mentre le donne emettono gemiti e movimenti frenetici. Non a caso Borghi ha detto che: “Non c’è nulla di più faticoso di fare l’amore per finta”
La serie, in conclusione, è uno stato d’animo: malinconico come lo sguardo di Alessandro Borghi la cui sessualità prolifica confina con la patologia di chi non sa più distinguere il piacere dall’ossessione.