Rivedere oggi il film documentario “Navalny” è un pugno nello stomaco, o forse sul cuore. Oggi che il leader dell’opposizione russa Alexei Navalny è morto, il cadavere consegnato alla madre, è profondamente ferita la speranza che si respira nel film documentario Premio Oscar 2023. Oggi nelle sale italiane, dove è tornato, “Navalny. Il veleno lascia sempre una traccia” risuona ancora di più come un testamento, una consegna per la democrazia e quello che gli è accaduto come una ripugnante vendetta dei suoi aguzzini. Sorpassato dai fatti tragici, il film oggi è tutt’altro che superato. Resta un documento fondamentale per il riscatto delle idee di Navalny e di chi vuol impegnarsi per una Russia democratica.
“Non arrendetevi”, il messaggio al popolo russo
Partiamo dalla fine, la cosa oggi più importante, cioè la conclusione dell’intervista che rappresenta il filo rosso del film. “Il mio messaggio al popolo russo in caso venissi ucciso? Mai arrendersi”. Not give up, dice in inglese. Poi alla richiesta del regista sul mandare un messaggio diretto in russo, Navalny articola meglio e con grande convincimento il suo pensiero: “Ascoltatemi, ho una cosa molto chiara da dirvi. Non vi è permesso di arrendervi. Se veramente decidono di uccidermi, significa che siamo incredibilmente forti. Dobbiamo usare questa forza per non arrenderci, per ricordarci che siamo una forza enorme, che è stata oppressa da questi idioti. Non abbiamo neanche idea di quanto siamo forti in realtà. L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che i buoni non facciano niente. Quindi, non siate passivi”. Lo sguardo è fermo, poi il volto si illumina con un sorriso.
Un pugno sul cuore contro 7,7 milioni di visualizzazioni
Ancora un passo più indietro. Forse ucciso da un pugno sul cuore, forse avvelenato di nuovo con il Noviciok come accaduto nel 2020, oggetto dell’inchiesta giornalistica sulla quale si sviluppa il film. Un’inchiesta divenuta pubblica, uno scandalo portato alla luce del sole, prove evidenti della persecuzione del leader da parte dei servizi segreti russi. “Abbiamo avuto 7,7 milioni di visualizzazioni” comunica soddisfatto Navalny al giornalista autore dello scoop. Mai il virtuale ha denudato in modo così tragico e doloroso la propria vacuità. È con un semplice gesto che un uomo uccide un altro uomo. Un pugno sul cuore uccide un uomo, la cui vita il consenso di milioni di persone non riesce a proteggere.
Un thriller nella realtà e nel documentario
“Navalny. Il veleno lascia sempre una traccia” è stato diretto dal regista documentarista canadese Daniel Roher e prodotto da HBO Max e CNN Films, in Italia è distribuito da IWonderPictures. È un film che scorre in modo appassionante, perché segue passo passo l’evolversi dell’inchiesta del giornalista investigativo Christo Grozev, del collettivo Bellingcat, insieme a Navalny e al suo staff, sull’avvelenamento nell’agosto 2020, accusando il malore durante un volo aereo di rientro dalla prigionia in Siberia a Mosca. Ad un certo punto l’inchiesta prende volutamente lo stile del thriller, con mappe e foto segnaletiche, e, prima che il film esca, diventa una grande campagna a livello mondiale che sembra condannare definitivamente davanti all’opinione pubblica Putin e il Cremlino, e assicurare a Navalny la protezione degli onesti. Forse anche forte di questo, Navalny rientra a Mosca nel 2021, ma viene immediatamente arrestato. Ed è in prigione, sia quando il film esce, nel 2022, sia quando vince l’Oscar come miglior documentario, nel 2023.
Incroci di informazioni dal darkweb
Come è stato avvelenato Navalny nel 2020? E da chi? Chi ha cercato di fermare un leader intenzionato a riformare il suo paese, la Russia, e che non si è fermato davanti a nulla, compreso il rischio del suo omicidio? Dopo lo scalo di emergenza tra la Siberia e Mosca, che si rivelerà salvifico, la famiglia pretende che Navalny sia assistito da un ospedale tedesco, la Charité a Berlino. Ed è in un buen retiro tedesco con la moglie Julija che Navalny organizza la propria base e il proprio ritorno. Alcuni mesi per rimettersi in forma e per seguire l’inchiesta che Christo Grozev, il giornalista bulgaro di Bellingcat, gli propone per un documentario: lui è, infatti, esperto in ricerche dati sul darkweb all’inseguimento degli avvelenamenti.
Le riprese della confessione telefonica del sicario
Grozev riesce a mettere insieme tutte le tessere del puzzle per risalire alle identità dei killer. Una volta individuati, il caso è aperto. Con lo staff e Navalny preparano una grande campagna di informazione coinvolgendo tutte le testate del mondo per un X-day. Quello stesso giorno, attraverso un éscamotage il pool riesce a far confessare al telefono uno dei sicari assoldati. Le riprese del documentario riportano fedelmente il momento cruciale e incredibile in cui il chimico russo, convinto di essere al telefono con un dirigente dei servizi segreti russi, che in realtà è Navalny stesso, ammette tutti gli errori della mancata uccisione dell’uomo con cui sta parlando. Chiusa la comunicazione, Navalny, Grozev, lo staff esultano. Pensano di avere la strada spianata verso la democrazia. Sono immagini che oggi fanno soffrire.
La destra, il ritorno, tutti i passaggi nell’intervista al regista
Il fllm è anche uno spaccato dell’uomo Navalny, del suo essere marito affettuoso di Julija e padre amorevole di Zahar e Dasha, ma anche un leader per il suo team e per milioni di seguaci, un avvocato colto e affascinante, capace di rivolgersi in inglese ai giornalisti di tutte le testate, un uomo convinto della sua battaglia politica per salvare il suo paese, desideroso di diventarne il presidente. Il primo vero antagonista di Putin.
Il film si apre e si chiude con le stesse scene. La domanda del regista sulla sua morte, e alla fine la risposta; Navalny che torna a Mosca il 17 gennaio 2021 per la sfida finale con il Cremlino, fiducioso su un aereo pieno di giornaliste a, alla fine, la discesa dall’aero e l’arresto. In mezzo la ricostruzione dell’inchiesta, la voglia di tornare nel suo paese per poter incidere, l’organizzazione con un piccolo gruppo persone fidate, zero soldi, molto lavoro e internet. Molti di questi passaggi sono ripercorsi nell’intervista rilasciata all’epoca dal regista Daniel Roher, più volte intervenuto in questi tristi giorni.
Tra queste anche le ragioni accampate da Alexei per i contatti con la destra estrema: “Se voglio combattere Putin, se voglio essere il leader del paese, non posso ignorarne una parte enorme. Nel normale sistema politico, ovviamente, non starei mai all’interno del loro stesso partito politico. Ma stiamo creando una coalizione più ampia per combattere il loro regime solo per raggiungere la situazione in cui tutti possono partecipare alle elezioni”.
Un’eredità da non disperdere
Ora Navalny è un cadavere nelle braccia della propria madre, Lyudmila, che l’aveva visto in salute il 12 febbraio e che il 16 febbraio 2024 lo ha saputo morto, ucciso, a 48 anni, nel carcere di Karp. Ora Aleksej Anatol’evič Navalny è anche un eroe completamente virtuale, al di là dello spazio e del tempo, e di cui dovrà essere raccolta l’eredità, un’eredità scomoda come gli arresti di queste ore. Proprio per questo, il film “Navalny. Il veleno lascia sempre una traccia” va visto e va fatto vedere.
Per conoscere da vicino la storia di Alexei Navalny, il migliore leader di opposizione in Russia, l’unico rimasto sul suolo natìo per portare democrazia, welfare, lotta alla corruzione, il più moderno degli antagonisti di Putin, consigliamo la bellissima intervista di Eugenio Cau ad Anna Zafesova, su Globo, podcast del Post, registrata tre giorni dopo la morte del leader russo. Una strada indicata dalla stessa Zafesova sono i profili social di Navalny, ai quali ha affidato le proprie idee, anche lasciando in vista i propri errori, e la sua inchiesta “Il Palazzo di Putin”.