Il “Napoleon” di Ridley Scott , nelle sale dal 22 novembre, prende le distanze dall’ennesima epopea storica su un grande personaggio del passato. Il film si apre con un giovane Bonaparte che guida l’assedio contro le truppe britanniche a Tolone. Si getta nella lotta, è visibilmente terrorizzato, persino ansimante. È difficile credere che quell’uomo diventerà il Cesare della Francia.
“Napoleon”, nei cinema dal 22 novembre, inizia con Maria Antonietta giustiziata per ghigliottina dinanzi alla folla, e termina con Napoleone a Sant’Elena, dove morì all’età di 51 anni nel 1821, Nel mezzo assistiamo alla sua ascesa al potere senza scrupoli. Il suo colpo di Stato contro il Direttorio francese nel 1799 è una farsa sgangherata. Lancia i suoi eserciti in giro per il continente si mostra incline a scoppi d’ira petulanti, urlando ai britannici: “Pensate di essere così grandi solo perché avete delle barche!”
Ridley Scott non condivide molto del mito dell’eroe che irrompe sulla scena europea con un impeto beethoveniano, per sconvolgere i vecchi assetti del potere che sembravano come mummificati e annunciare un’era di libertà. Quello che vediamo sullo schermo è un bruto impulsivo e dal temperamento subdolo, che dispone di uomini e cose con una disarmante naturalezza.
Per oltre 200 anni, le rappresentazioni di Napoleone sono passate dal geniale riformatore nato dalla Rivoluzione Francese a tiranno predatore le cui guerre hanno straziato l’Europa, lasciando sui campi di battaglia i corpi di migliaia di soldati. Napoleone stesso ha contribuito a plasmare la sua eredità mentre era in esilio a Sant’Elena con una memoria autoreferenziale. Alcuni dei giganti della letteratura del XIX secolo si sono confrontati con lui. Victor Hugo scrisse che Napoleone perse a Waterloo perché dava fastidio a Dio, non rientrava più nella legge del diciannovesimo secolo. Tolstoj, in “Guerra e pace”, lo definisce “l’uomo più insignificante della storia”.
Joaquin Phoenix nel ruolo di Napoleone è’ un omuncolo la cui sete di potere diventerà un’ossessione. Un tiranno e un marito innamorato di sua moglie Josephine. Una figura marginale nei testi storici diventa nel film di Scott una donna forte, indipendente e schietta. Quando Napoleone la vede per la prima volta a una festa, ne rimane incantato.
Napoleone e Joséphine si sposano e si tradiscono continuamente, fingendo un po’ di sdegno al momento della scoperta, per poi ritornare al normale ménage matrimoniale. Dal fronte lui le scrive lettera d’amore infuocate. Quando Josephine è costretta al divorzio perchè non riesce a dargli un erede, le viene assegnata comunque una residenza in cui vivere, ricevendo qui frequenti visite di Napoleone. Nella visione cinematografica di Scott, Napoleone e Josephine non si rendono davvero conto di essere innamorati fino a quando le turbolenze politiche li costringono a separarsi. La loro relazione viene rappresentata persino beffardamente adolescenziale.
Il film è un arazzo storico al limite del satirico. Più di una volta in “Napoleon”, Bonaparte viene definito il più grande leader del mondo, ma di quella leadership si vede ben poco. Quello che emerge è il ritratto di un bambino immaturo, una figura passiva che si tappa le orecchie e dà ordini di aprire il fuoco.
Ridley Scott nel periodo della cancel culture sembra aver voluto cavalcare la tendenza di chi sovrappone alle altre epoche idee e principi del nostro tempo, un eterno presente che dà anacronisticamente giudizi e condanne su eventi trascorsi, di modo che si rischia di non capire più né il passato né l’oggi.