Le pratiche della Pro Juventute, la fondazione svizzera creata per sostenere esigenze e diritti dell’infanzia, rappresentano un oscuro capitolo poco conosciuto della storia svizzera coinvolgendo oltre 2.000 bambini nomadi delle comunità Yenish dagli anni ’30 agli anni ’70.
Presentato alla 80ª Mostra del Cinema di Venezia, il film si sviluppa in tre parti nel corso di 20 anni: la prima nel 1939, lunga un’ora e mezzo; la seconda nel 1951, di 50 minuti; l’ultima nel 1959, di una quarantina di minuti. “Lubo” affronta il delicato argomento concentrandosi sulle dimensioni individuali e comunitarie che hanno inflitto profonde ferite alla comunità Yenish, in particolare sugli abusi perpetrati dalla polizia in nome della rieducazione e dell’autorità.
Giorgio Diritti, in “Lubo” racconta la storia di un genocidio dimenticato
L’interpretazione di Franz Rogowski conferisce un elemento umano ed emotivo alla pellicola, delineando un individuo in guerra con il mondo, in lotta contro la follia discriminante per riconquistare i propri figli. La potenza della performance silenziosa di Rogowski emerge in scene commoventi, come quella in cui Lubo apprende della morte della moglie e del rapimento dei figli, e nella seguente, in cui la telecamera segue il protagonista a letto, gli occhi di Rogowski cercando invano i propri cari.
Rogowski, abile nel passare tra tedesco svizzero, italiano e Yenish, conferisce varietà alle diverse sfaccettature della caratterizzazione di Lubo. La regia di Giorgio Diritti cattura l’essenza di un periodo storico in cui normative discriminatorie hanno generato dolore, rabbia e violenza, ma anche straordinaria resilienza nella ricerca della giustizia. Lubo, come sopravvissuto silenzioso, sfida un sistema disumano in cerca di un significato dopo una perdita.
La vicenda di Lubo si sviluppa su un arco temporale di 20 anni e diviene un potente veicolo per esplorare le profonde ferite inflitte da politiche discriminatorie e programmi di “rieducazione” contro le comunità nomadi. Lubo è chiaramente un uomo ossessionato, corroso da un’amarezza che riversa sui borghesi (e le loro mogli) di un paese che lo ha tradito. Ma mentre la storia procede inesorabilmente attraverso gli amori e il tempo passato in prigione, il film diventa un ritratto frustrante di un uomo rovinato da un’ingiustizia. Una storia del passato che dovrebbe fungere da monito per il presente, un memoriale contro tutti gli abusi e i soprusi.