Opera prima di Julie Lerat-Gersant, con Petites la regista porta al cinema la sua esperienza d’osservatrice nei centri francesi di accoglienza per madri adolescenti e i loro neonati, il film racconta il viaggio tormentato di Camille, un’adolescente alle prese con una gravidanza inaspettata che stravolge la sua vita e la porta a riflettere sul senso di responsabilità che comporta l’essere madre.
Come ha scelto l’ argomento del film?
Come ha scelto l’ argomento del film?
Il desiderio iniziale di scrivere questa sceneggiatura e realizzare questo film è nato diversi anni fa, mentre conducevo laboratori di scrittura in centri di accoglienza per giovani ges- tanti. Queste grandi case famiglia sono popolate da madri adolescenti e da bambini mol- to piccoli. Mi ha colpito il disarmante mix di adolescenza spensierata e responsabilità ge- nitoriale. La realtà è dura e, sfortunatamente, i modelli familiari si ripetono spesso di ge- nerazione in generazione. Ma a volte, per fortuna, la storia di alcune giovani donne dà speranza alle altre e lascia il segno anche negli educatori. Camilla è una di queste.
Petites è il ritratto di una giovane adolescente a un bivio che spezza il circolo vizioso degli schemi familiari. Eroina resiliente dei tempi moderni, Camille si erge coraggiosamente di fronte a un determinismo fatalista. Stava già prendendo forma un film…
Lei gioca anche con i codici del teen movie: Camille pattina sui roller, indossa mini-shorts e crop tops, mastica caramelle… È per ricordare che queste ragazzine sono innanzitutto adolescenti, prima di essere madri?
Sì, sono delle bambine, hanno 15-16 anni. In certi momenti, Camille si dimentica di aspet- tare un bambino, è d’altronde l’intero percorso del film, è un film in cui lei cresce. Avevo bisogno che avesse l’aria di una ragazzina, il film si svolge nell’arco di 6 mesi e questi co- dici ci ricordano che è ancora piccola e si diverte. Volevo che Camille fosse interpretata da un’attrice che ha ancora un piede nell’infanzia, ma anche uno nel mondo degli adulti. Nel film a volte è molto stilosa, gioca a fare la donna, e allo stesso tempo guarda i cartoni animati, beve cioccolata calda, rimane una bambina.
Una bambina che aspetta un bambino.
Quali sono state le Sue ispirazioni cinematografiche per immaginare e dirigere Petites ? Pensiamo in particolare ai film di Ken Loach, sono stati un riferimento per Lei ?
Sì, Ken Loach ma anche Andrea Arnold o i fratelli Dardenne, nel loro modo di non abban- donare i personaggi. Questo radicalismo mi impressiona. Ecco perché volevo che non lasciassimo mai andare Camille. E John Cassavetes per la direzione degli attori, il modo di dar loro fiducia, di vedere come assumono i loro ruoli secondo la loro natura… Ma an- che nel modo di posizionare la macchina da presa: con Virginie Saint-Martin, la mia diret- trice della fotografia, volevamo che la macchina da presa fosse al centro degli attori e del- le attrici, vicina ma senza essere troppo agitata come una camera a mano. Volevo un cinema molto sociale, cercando al tempo stesso un lirismo che raccontasse perfettamen- te l’adolescenza.
A cosa si riferisce il titolo del film, Petites? Evoca il percorso di queste ragazzine, che sono in qualche modo delle“ piccole mamme”?
Sì, è proprio così, del resto abbiamo trovato il titolo molto tardi. Per molto tempo il film si è chiamato “Mia Cam”. Adoravo questo titolo, penso che trasmettesse il rapporto tra Camille e sua madre. Ma gradualmente, il film si è spostato sui personaggi speculari at- torno a Camille. È Petites, al plurale, perché sono tante e sono sempre le piccole di qual- cuno, come delle matrioske. Anche quando sono adulte, rimangono la piccolina della loro mamma. Petites sono Camille, Diana, Clo, è un insieme di piccole umanità.
Possiamo dire che Petites è un film sulla trasmissione tra madri e figli?
Petites è un film sull’essere madre e sulla transgenerazionalità. Volevo interrogarmi su cosa trasmettiamo nelle nostre linee familiari, il modo in cui si riproducono gli schemi fa- miliari, e come possiamo uscirne. Petites è anche la storia di uno svezzamento materno, Camille non rompe con la madre ma capisce che può attraversare la vita anche senza es- sere in totale fusione con lei. Questo rimanda anche alla mia storia personale, mia madre è entrata in coma mentre diventavo mamma, 10 anni fa. Ho scoperto il sentimento mater- no avendo una madre che adoravo e che stava fisicamente per andarsene. Anche se siamo fatti delle storie dei nostri antenati, volevo interrogarmi sul fatto che, in base agli incontri che si fanno, ciascuno può tracciare poco a poco il proprio percorso.