“Un cerchio che si è chiuso”. È quando Giovanni Lindo Ferretti intona Amandoti al termine del “Gran Galà Punkettone” dei CCCP-Fedeli alla linea a Reggio Emilia, che queste parole assumono un senso, anche fisico, di corpi e di vita. La voce si incrina, un po’ sottotono, scatta l’abbraccio con Massimo Zamboni, Annarella è vicina, Fatur incoraggia. Non è una reunion, ma le vicende umane e artistiche, così a lungo distanti, ora si sono di nuovo incontrate con un rinsaldarsi degli animi. Un cerchio che si è chiuso, ma il finale è lieto. Non ci sarebbe altro da dire.
CCCP da ovazione al Gran Galà Punk, già definito evento “storico”. È andato in scena in prima il 21 ottobre e in replica il 22 al Teatro municipale Romolo Valli prodotto da Festival Aperto – Fondazione I Teatri diretta da Paolo Cantù e organizzato nel contesto delle iniziative per i primi quarant’anni dell’EP Ortodossia. Prima tra tutte, la mostra Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea. 1984 – 2024 in corso ai Chiostri di San Pietro, promossa da Comune di Reggio Emilia e Fondazione Palazzo Magnani. Tanto la mostra è originale, tutt’altro che celebrativa, all’altezza per intensità degli spazi che abita, altrettanto il Gran Galà è stato tutto, meno che un’occasione nostalgica. Quella coerenza dei CCCP che ha ricordato Andrea Scanzi dal palcoscenico, è stata la cifra che ha fatto del Gran Galà qualcosa di nuovo e diverso nella storia di questo gruppo.
Non un revival, ma qualcosa di nuovo
Uno spettacolo nuovo. Nuovo per l’età diversa dei quattro protagonisti, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici, Danilo Fatur, 40 anni dopo, sottolineata dallo smoking che ciascuno di loro indossava. Nuovo per la regìa di Fabio Cherstic che ne ha fatto un’opera tra il concerto, il talk show, la “pubblicità” televisiva, la mediaticità con trailer e filmati d’epoca. Nuovo per l’ambientazione in un teatro d’opera, il Teatro Valli in un assetto coinvolgente grazie a un design delle luci che roteava fasci e fari luminosi verso palchi e platea come a cercare il pubblico.
E quarant’anni dopo, di cui trenta e più di separazione, già l’inizio della serata è folgorante. Ferretti e Annarella che entrano dalla platea illuminati dall’occhio di bue, lui in smoking che canta Annarella, lei al suo fianco, a braccetto, quasi accudente, con l’abito rinascimentale di “Epica, Etica…”, immortalato dalle fotografie di Luigi Ghirri. “Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così, non dire una parola che non sia d’amore”. Il Valli, gremito di oltre mille persone che hanno bruciato i biglietti online in pochi minuti, ha reagito con estatico ascolto e ovazioni a un susseguirsi di momenti appassionanti e commoventi.
Su un grande schermo passa la carrellata delle “réclame” per “Canzoni, preghiere, danze del II millennio. Sezione Europa”, che ci riporta indietro nel tempo, al 1989, con i CCCP al massimo dello splendore e della giovinezza. Il velo si alza mostrando a sorpresa la musica in attesa. Sul palco i microfoni, tre postazioni di percussioni e batteria, due chitarre insieme a quella di Zamboni. Una visione auspicata, ma non scontata da parte del pubblico, preparato solo da una asciutta presentazione del Punk Gala “di immagini e parole”, con l’annuncio di tre celebranti: Daria Bignardi, solo il 21, la serata che raccontiamo qui, Andrea Scanzi e Alba Solaro, solo il 22, “filmati rari o inediti, apparizioni”.
Tutto questo è stato, sì, ma squassato e travolto dalla musica con una imprevista e generosa scaletta, che risente, come sempre, dell’attualità: Battagliero, “un sepolcro al cimitero ricoperto di lillà”, Morire, con il suo “produci, consuma, crepa” che echeggia anche ai Chiostri di San Pietro su Trabant e muro di Berlino, Stati d’agitazione, “eppure sono vivo!”, Radio Kabul, dove entrano “un russo del Donbass e un armeno del Nagorno-Karabakh”, Libera me Domine, una preghiera necessaria con un Ferretti che scende nella botola del teatro, in un’immagine degna del Don Giovanni di Mozart, la Suite Emilia Paranoica, in una versione strepitosa.
I musicisti, oltre a Massimo Zamboni alla chitarra, sono Ezio Bonicelli, violino e chitarra elettrica, Luca Rossi basso, Simone Filippi batteria, Simone Beneventi e Gabriele Genta alle potenti percussioni, mentre luci abbagliano e nebbie confondono tutti come nel più padano dei paesaggi.
L’intervista di Bignardi nel salotto di Vespa
“CCCP – Fedeli alla linea mancò nel 1990, dissero mancanza d’aria. Questo cos’è? la reunion di una band scomparsa? il crogiolarsi nella nostalgia? ostinazione? un monumento funebre con annessa certificazione di morte?” preannunciava il programma. È su queste domande che si inoltra Daria Bignardi, giornalista, conduttrice televisiva, già fan, emiliana, ferrarese, di origine. Più che alle Invasioni Barbariche, attende i quattro smoking-vestiti in un salotto bianco alla Vespa, e lei, dolcemente incalzante, intervista i suoi ospiti, partendo dalle loro auto-definizioni, in un siparietto che sa essere anche molto divertente.
“Cellula dormiente risvegliata?” chiede. Ferretti in smoking, sprofondato nella poltrona quasi a voler scomparire, taglio a scodella, baffi e favoriti risponde: “Mi sono proprio chiesto che c…o ci siamo risvegliati a fare”. Tanto per dire il punk. Ma poi aggiungerà: “È un cerchio che si è chiuso”. Bignardi prova con Zamboni. “Ti è mancato Giovanni?”. “Non sono cose di cui parlare davanti a 1.200 persone” risponde sorridendo. Aggiunge: “A volte l’assenza è piena di presenza”. Ad Annarella viene riconosciuto un ruolo essenziale nell’economia del gruppo, “un patriarcato guidato da Annarella come esecutrice testamentaria” secondo Ferretti. Una interprete di un “Femminile” quasi arcaico, che cuce con pazienza le relazioni, che custodisce ciò che conta, ad esempio tutti i beni esposti alla mostra. “La vita è breve” sentenzia Annarella, e quello che è accaduto alla loro storia, perdersi e ritrovarsi, “è nell’ordine delle cose”.
E Fatur? “Ho una domanda – dice Bignardi – ma perché giravi sempre nudo?”. “Perché avevo un bel culo, dicevano che avevo un bel culo”, risponde serafico e continuando con grande candore. Vivamente consigliata dai colleghi la sua autobiografia, “Io, Fatur. La vodka Bona più non c’è”, con un’avvertenza, dice Zamboni: “Non lasciarla incustodita in casa”. Più in profondità, l’intervista lambisce la drammaticità di questo momento, in cui “no future”, lo slogan del mondo punk sembra attualissimo e Ferretti conferma: “Non vedo futuro”.
Più possibilista Zamboni, che vede nelle infinite trasformazioni di cui è capace la natura, alleata all’umanità, una flebile speranza: “Da noi, ci sono ancora persone che piantano castagni”. Si parla di spiritualità, “sono sempre stato così” dice Ferretti, e della collaborazione con Amanda Lear in “Tomorrow”, anche lei una figura di rottura sulla scena, e, ricorda Zamboni, un’ambiguità perturbante che allora era una novità per il pubblico, e con cui ci si confrontava.
Quel fatale anno 1989
Con l’imminente uscita, il 24 novembre, del film e documentario Kissing Gorbaciov, che ha comportato il definitivo disgelo tra i quattro con un incontro per un’intervista a Cerreto Alpi diversi mesi fa, Bignardi si inoltra nella ricerca delle origini della fine dei CCCP. Era il 1989, viaggio a marzo con concerto a Mosca in uno scambio artistico di gruppi punk organizzato a Melpignano. Il critico musicale Gino Castaldo nel docufilm ricorda: “A Mosca apparve il più russo dei gruppi punk, i CCCP”, con Annarella vestita da matrioska, del resto “originari della più filosovietica delle province dell’impero americano”. A novembre cade il muro di Berlino, nel 1990 le strade dei CCCP divergono. “Finito un mondo, sono finite anche le ragioni della loro esistenza” è la vulgata. Alla domanda della conduttrice se il pubblico vuol davvero sapere “perché?”, prevale il “no”. È troppo bello godersi questo momento magico dell’essersi ritrovati in pace.
Scanzi: “Perché amiamo i CCCP”
Un racconto che si intreccia con “Perché amiamo i Cccp”, l’invettiva del giornalista Andrea Scanzi, che appare sul palco come un ologramma. Un’orazione densa e fitta, nemmeno dieci minuti, un monologo in cui declama i numerosi pregi che ce li rendono così cari, così unici, diversi dalla scena culturale degli anni ’80 in cui nascono (“ma venivamo dalla cultura degli anni ’70” aveva ricordato poco prima Ferretti). Le ragioni di questa unicità – dice Scanzi – sono nella coerenza nell’“essere se stessi e nello stesso tempo nel saper cambiare e non restare immobili”.
Unici e feroci, ma così veri da sentirci noi contradditori. Unici e feroci nell’essere critici con la loro epoca, unici nel portare in scena performance che sono teatro, futurismo, dada, un’avanguardia artistica. Unici nella scrittura scarnificata e scarnificante di Ferretti, la sua ieraticità, la sua voce. E ancora nella riflessività di Zamboni, l’essere il punto di stabilità. Unici nell’estetica di cui Annarella è simbolo, nella fisicità, la corporalità sulla scena, in particolare di Fatur.
Tutto ciò si ritrova nello spettacolo, di quasi due ore, sotto gli occhi entusiasti del pubblico, con i continui cambi di costume di Annarella (“solo sette”, dallo smoking, al burka per Radio Kabul, a un tailleurino nero per Battagliero, a un abito midi rosso abbottonato), con Fatur che trascina catene, oggetti pericolosi e se stesso e mostra la sua fisicità di oggi, Ferretti ispirato e spesso a occhi chiusi, Zamboni alla chitarra, che controlla la scena.
Emilia Paranoica nel profondo
Scanzi conclude in crescendo, tirando la volata a Emilia Paranoica. Sfila una bandiera storica del Pci, sul palco del Valli. È un reperto archeologico. Il richiamo all’Emilia, terra d’origine dei CCCP, la cui nascita fu guardata con sospetto dalla dirigenza politica di allora, tranne dai più illuminati, come Ero Righi e Renzo Bonazzi. Ferretti: “Il senatore Bonazzi, ex sindaco, ci seguiva e scrisse la prefazione al Libretto Rozzo, dicendo che ‘i CCCP forse non erano quello che avremmo voluto, ma erano quello di cui avevamo bisogno”. Un radicamento critico ma profondo, qualcosa che resta, anche se le strade divergono.
Del finale si è già detto, con “Amandoti”. “Ci è sfuggita di mano e spesso ci fa tribolare”, dice Ferretti citando Zamboni. Che sia sfuggita al controllo, “come i figli”, lo dicono le cover che si possono ascoltare alla mostra. Anche questo ultimo brano fa cantare il teatro, ma non troppo. Più che cantare è sempre meglio poter essere pubblico, esserci, vedere, ascoltare: la voce, unica, di Ferretti, la chitarra grattugiata di Zamboni, il fascino e l’eleganza di Annarella, il timore che suscita Fatur. Dopo un finale che celebra un ritrovarsi, ogni spettatore spera, in cuor suo, che il gran successo del Gran Galà non finisca qui.