“La nostra è una società basata sul lavoro. Fin dall’infanzia ci viene insegnato ad essere orientati al risultato e ad essere competitivi”. da questo assunto parte il film, After Work, del regista Erik Gandini, nelle sale dal 15 giugno e presentato in anteprima al Biografilm2023. Oggi molti si chiedono quanti lavori verranno sostituiti dall’intelligenza artificiale. Il dibattito sulle conseguenze di questa situazione è dominato da esperti di tecnologia ed economisti e spesso dipinto come una distopia fantascientifica. Alcuni documentaristi cercano di formulare ipotesi su come me potrebbe essere il futuro del lavoro. Mentre alcuni si sono concentrati su temi specifici, tra cui il reddito universale (Free Money) e la gig economy (The Gig Is Up), il regista italo-svedese sceglie un approccio puramente esistenziale e mira a esplorare come saremo e cosa faremo quando non dovremo più lavorare.
Per fare questo ha compiuto un viaggio dall’Italia alla Corea del Sud fino al Kuwait e oltre per raccogliere storie contemporanee. In Corea del Sud, ad esempio, la cultura del lavoro dall’alba al tramonto si è radicata a tal punto – e con un impatto così dannoso sulla salute e sul benessere – che il governo è intervenuto per migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, arrivando a programmare lo spegnimento dei computer alle 18:00. Un manager intervistato negli Stati Uniti si lascia andare a una risata fragorosa all’idea che gli americani si possano prendere più di due settimane di vacanza alla volta. Sebbene il tema sia serio, l’approccio di Gandini è giocoso, quindi sentiamo il mantra americano di “Sono così impegnato” riecheggiare per un’intera sequenza del film.
E che dire di quelli che non lavorano affatto? Un milionario rivela che “non fare nulla è solo morte”. Mentre in Kuwait ci sono altri motivi per cui le persone restano “inoccupate”. Con la sua economia ricca di petrolio e con una popolazione di appena quattro milioni di persone, a tutti è garantito un lavoro, il che porta a un esubero di personale negli uffici governativi.
Un professore intervistato spiega che l’atteggiamento occidentale nei confronti della necessità di lavorare deriva principalmente dalla convinzione calvinista che lavorare sodo ci terrebbe tutti fuori dai guai. C’è anche una conversazione molto interessante con un sondaggista di Gallup, il quale osserva che solo il 15% della forza lavoro mondiale è attivamente “impegnata” in termini di interesse per quello che si fa.
Gandini focalizza l’attenzione anche sulla crescente tendenza a monitorare ogni mossa dei dipendenti, e la situazione socio-economica che ha portato in Italia a una generazione di giovani che non trova istruzione o lavoro grazie a ingenti eredità. After Work apre diversi scenari e ognuno può cogliere quello che più gli si addice, mentre la colonna sonora spesso metronomica di Johan Söderberg ci ricorda che il tempo stringe per tutti noi. I tempi e la natura del lavoro stanno cambiando, che ci piaccia o no, dovremo decidere se anche noi vogliamo cambiare con loro o meno.