Sotto le stelle alle Terme di Caracalla si muoveranno su musiche dal vivo il dittatore che solleva il mappamondo a passo di danza e il piccolo barbiere ebreo che sbarba il cliente con uno svolazzante rasoio. Sarà una prima mondiale venerdì 23 giugno alle 21.30, nell’antico scenario, la proiezione di The Great Dictator – Il grande dittatore di Charlie Chaplin per l’inaugurazione ufficiale del Festival di Caracalla 2023.
La pellicola del celebre capolavoro è stata infatti oggetto di restauro da parte della Cineteca Nazionale di Bologna, ultimo capitolo del Progetto Chaplin nato nel 1999 che intende mettere in scena tutti i film di Chaplin con l’esecuzione dal vivo della colonna sonora. Non solo il restauro delle immagini, ma anche quello delle musiche che verranno eseguite dall’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Sul podio ci sarà Timothy Brock, direttore musicale della Association Chaplin di Parigi, che ha restaurato la partitura originale con le musiche composte da Charlie Chaplin e Meredith Willson. Tra queste anche quelle per la celeberrima scena della danza con il mappamondo di Adenoid Hynkel e quelle che accompagnano il barbiere ebreo.
«La Cineteca di Bologna – ha ricordato Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca e presidente del festival del cinema di Roma, in occasione del lancio del festival – lavora da quasi 25 anni sull’opera di Charlie Chaplin. Un progetto enorme, che non è solo sinonimo del lavoro di catalogazione e digitalizzazione dell’archivio o del restauro di una filmografia di soli capolavori: il Progetto Chaplin fa rivivere il suo cinema nel mondo contemporaneo e lo fa conoscere alle nuove generazioni. Occasioni particolarmente speciali sono naturalmente quelle in cui la musica dello stesso Chaplin accompagna le immagini, dando vita a uno spettacolo di coinvolgimento assoluto. Chaplin arriva quindi in quel luogo magico che sono le Terme di Caracalla, con “Il grande dittatore”, uno dei momenti più alti della sua Arte e della Storia del cinema, un film che è nella Storia, ma che parla anche a noi cittadini del XXI secolo». E’ questa un’occasione, per tornare a parlare sia del capolavoro di Chaplin, sia del mimo, attore, regista che nemmeno trentenne divenne l’uomo più famoso al mondo.
Nel Progetto Chaplin il mistero dell’artista e dell’uomo
Dal punto di vista artistico, questo film, come tutta l’opera chapliniana, porta i segni di quel mistero della creazione artistica, che nasce dalla fusione del personaggio Charlot con l’uomo e l’artista Chaplin e dello sconfinamento dell’uno nell’altro. Un’alchimia che continua a generare pagine su pagine per narrare e decifrare l’uomo e la sua creazione. Sicuramente il Progetto Chaplin è la ricerca più filologica, in grado di mettere a disposizione del pubblico e degli studiosi una documentazione enorme per cogliere la complessità dell’universo Chaplin. Il Progetto Chaplin è voluto e portato avanti dalla Fondazione Cineteca di Bologna con la famiglia Chaplin e Chaplin Office|Association Chaplin di Parigi. Un corpus incentrato sull’Archivio Chaplin, con la digitalizzazione di tutta la documentazione cartacea e fotografica relativa a Charlie Chaplin; il restauro dei cortometraggi e dei lungometraggi di Chaplin, dieci capolavori al centro di proiezioni e iniziative speciali e che peraltro sono stati messi a disposizione del grande pubblico su Rai Play nel dicembre scorso.
Il Progetto Chaplin è stato generativo di molte iniziative, come la pubblicazione nel 2021 della splendida antologia critica “Chaplin”, di Peter von Bagh, prodotta in una stretta relazione con l’autore, tradotta dal finnico, che ha regalato al pubblico un testo rigoroso e appassionato. La ricerca è nata, e c’è da augurarsi continui ad libitum, appoggiandosi sulle solide basi di chi Chaplin lo ha già studiato in profondità come David Robinson con la sua accuratissima biografia “Chaplin. La vita e l’arte” del 1985 o Kevin Brownlow e David Gill con la serie di documentari Unknown Chaplin, anche su You Tube, che hanno restituito al pubblico la genialità e la severa professionalità del Chaplin regista e attore.
Un artista e un uomo controcorrente
“Il grande dittatore” è il primo film sonoro di Chaplin ed è anche l’ultimo film dove appare Charlot. Per l’attore e regista Charlie Chaplin e per il suo Vagabondo fu molto difficile abbandonare lo splendore del cinema muto, che proprio, perché muto, parlava una lingua universale a tutto il mondo. Uno splendore ancora oggi intatto nelle primissime opere, a partire dal debutto di Charlot nel brevissimo Kid Auto Race at Venicedel 1914, tuttora effervescente con un Chaplin venticinquenne, e in opere più mature come “La febbre dell’oro” del 1925. Chaplin arrivò quindi al sonoro dopo alcuni anni, controvoglia e controcorrente, consapevole che ciò avrebbe comportato il sacrificio di Charlot, per continuare a portarlo dentro di sé ma in personaggi diversi. Charlot appare ne “Il grande dittatore” non come Vagabondo, ma come un reduce di guerra e piccolo barbiere ebreo, che si troverà per uno scambio di persona nel ruolo del dittatore. Sarà in quei panni, che Chaplin lancerà il suo messaggio al mondo per un’umanità da ritrovare, per una pace da raggiungere, anche a costo di imbracciare le armi perché i popoli calpestati tornino liberi.
“Il grande dittatore” uscì nel 1940, poco dopo l’invasione della Polonia. C’è da chiedersi chi oggi avrebbe il coraggio di un’operazione del genere. La posizione politica di Chaplin rispetto alle dittature fu molto chiara, prima e durante la seconda guerra mondiale. “I dittatori sono marionette che l’industria e il potere economico sfruttano a loro piacimento” aveva detto nel 1931 di Mussolini. Già durante la produzione, e poi nella distribuzione, il film viene ostacolato in molti paesi. Un’opera controcorrente che l’autore persegue con caparbietà. “Se avessi conosciuto gli orrori dei campi di concentramento tedeschi non avrei potuto fare Il Dittatore; – ha scritto Chaplin nella sua autobiografia – non avrei certo potuto prendermi gioco della follia omicida dei nazisti. Ma ero ben deciso a mettere in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza”. Quindi Chaplin andò avanti contro tutto e tutti. Un’opera che ha determinato sostanzialmente, insieme a “Tempi moderni”, il rovescio della fortuna di Chaplin, che inizia a essere fortemente avversato dal potere per le sue posizioni scomode, e questo proprio negli Stati Uniti, quella terra di libertà a cui, attore britannico ventenne, era approdato e in cui aveva trovato la propria piena realizzazione.
Il baffetto umano e quello disumano
C’è molta letteratura sul parallelismo anche biografico tra Charlie Chaplin e Adolf Hitler. Charles Spencer Chaplin nasce il 16 aprile 1889 a Londra, Hitler quattro giorni dopo nell’Alta Austria. Vivono un’infanzia poverissima, da fame, hanno entrambi una madre con fragilità psichiche, studiano entrambi musica in modo autodidatta. In realtà il talento di Chaplin emerge nonostante tutto fin da bambino, Hitler trascorre fino alla maturità anni di disagio. Poi c’è la questione del baffetto. Il baffetto a spazzolino accomuna due volti completamente diversi – Hitler non ha gli occhi e il sorriso larghi di Chaplin – quando i due si trovano, in quel 1940, al massimo della personale celebrità, entrambi idoli delle folle osannanti, ma su fronti opposti: chi vuol esercitare il potere sull’umanità, chi difende l’umanità e rappresenta i diseredati. Chaplin in realtà con il suo Charlot è famosissimo da molti anni. “Io ero sulla scena ben prima di lui” rispose al commediografo Garson Kanin che insisteva per avere una spiegazione, come ricorda Peter von Bagh. A testimonianza di questo bastano le impressionanti le immagini di repertorio mostrate dal film documentario The Real Chaplin di Peter Middleton e James Spinney del 2021. Non solo i bagni di folla, ma le centinaia di uomini partecipanti a contest imitando Charlot: vagabondi e poveri in cerca di fortuna e di qualche spicciolo, travestendosi con una bombetta, un bastoncino e un paio di baffetti. Tanto a dire che fenomeno di massa Charlot fosse diventato già negli anni Venti, e quanta immedesimazione ci fu in lui da parte di una intera generazione.
E’ quando inizia a prendere la scena il baffetto di Hitler con il suo sbraitare e gesticolare da tribuno consumato, che Chaplin comincia a studiare il caso e a convincersi che la ridicolizzazione sarebbe stata un’arma possibile e arriva all’idea di un film in cui si sdoppia in due personaggi. L’umanità allo stato puro viene quindi interpretata dal piccolo barbiere ebreo, mentre l’istrionico Hynkel-Hitler è un dittatore disumano e cinico, in cui tuttavia Chaplin lascia quel piccolo spazio di umanità piena di difetti, perché possa essere credibilmente ridicolo e suscitare nella psiche collettiva e di ciascuno la domanda sulla banalità del male.
Scene entrate nella memoria, alcune improvvisate
Come ha scritto Cecilia Cenciarelli della Cineteca nazionale, questo primo film sonoro è stato anche il primo film meticolosamente sceneggiato e pianificato da Chaplin. Le pochissime improvvisazioni sono proprio nelle tre scene in cui Chaplin torna alla sua arte eccelsa mimica e che non a caso sono le scene più famose del film, se si fa eccezione per il discorso finale. Parliamo dei due momenti del film completamente muti, due vere e proprie danze, quelli a cui si assisterà al Festival di Caracalla con l’esecuzione musicale dal vivo. “La prima: la rasatura coreografata sulle note della Danza ungherese n. 5 di Brahms, che Chaplin provò e riprovò per oltre tre ore il pomeriggio del 30 settembre 1939, utilizzando una versione riorchestrata della musica. La seconda, una sorta di risposta speculare della prima, quella di Hynkel con il mappamondo accompagnata dal preludio del Lohengrin di Wagner, più pianificata nei movimenti, anche perché prevedeva l’uso di funi, ma comunque ‘riscritta’ da Chaplin”. Infine anche il primo comizio di Hynkel, in cui i dialoghi riportano solo la parola “gergo”, in un linguaggio ridicolo e cacofonico, fu una scena improvvisata e infinita, con le comparse immobili a 37 gradi all’ombra.
L’appello finale agli uomini di buon senso
Molte altre scene, praticamente tutte, sono memorabili, comiche o drammatiche: da Charlot soldato alla persecuzione nel ghetto, alla ridicola competizione tra i due dittatori, Hynkel e Bonito Napoloni, la satira di Mussolini, e infine al discorso finale all’umanità, l’appello agli uomini. Un discorso che non è semplicemente pacifista. Chaplin l’ha definita “una nota che riflette, in modo onesto e realistico, la situazione in cui viviamo facendo appello a un mondo migliore. (…) Non esiste alcuna terra promessa per gli oppressi del mondo intero. (…) Devono cercare di restare in piedi, come noi”.
Cenciarelli vi legge il profondo umanesimo che Chaplin condivideva con Einstein, mentre George Orwell, altro pensatore controcorrente, in quello stesso 1940 vi lesse “un appello potente e ostinato a favore della democrazia, della tolleranza e del buon senso”, in un’epoca in cui “la democrazia sta progressivamente scomparendo, il mondo è messo in scacco da dei ‘superuomini’, il concetto di libertà ci viene spiegato da capo e i ‘pacifisti’ trovano argomentazioni per giustificare il rastrellamento degli ebrei”.
Il discorso del barbiere ebreo trasmesso a tutto il mondo viene ascoltato dall’amata Hannah-Paulette Goddard piangente, nella terra di esilio. Quell’esilio che toccherà anche a Chaplin, con il ritorno in Europa, nel 1952, perseguitato dal mondo conservatore americano maccartista che lo accusava di essere comunista e che alimentava la sua distruzione sul piano privato e pubblico. Le vicende umane, il maccartismo e John Edgar Hoover sono passati, Hitler è stato sconfitto dalla Storia, ma sarà Chaplin il 23 giugno a danzare sotto le stelle a Caracalla.
Biglietti sul sito del Teatro dell’Opera di Roma.