Beau Is Afraid, il terzo lungometraggio del regista di Hereditary e Midsommar Ari Aster, racconta una storia astratta che attinge a piene mani da paure familiari e riflessioni psicosessuali. E lo fa con tagliente e sottile ironia, scocciando la ben nota abilità di non cadere nel ridicolo.
Nel film, in sala dal 21 aprile 2023, Joaquin Phoenix interpreta Beau Wasserman, un solitario cinquantenne che vive in un appartamento fatiscente in quella che sembra essere una parodia della moderna cittadina americana uscita dalla più becera propaganda conservatrice. Il crimine e l’instabilità mentale dilagano in questa concezione borderline della vita urbana che evoca immediatamente le paure più vivide di Beau quando si trova costretto a tornare a casa di sua madre dopo aver appreso della sua improvvisa scomparsa. Non sa cosa potrebbe succedergli durante il viaggio.
Phoenix si è totalmente calato nel personaggio. Il terrore negli occhi mentre osserva le strade affollate di anziani violenti e nudi e gangster tatuati che non aspettano altro che svegliarsi contro di lui verbalmente e fisicamente. E in effetti, i suoi incubi si trasformano in una allucinante e angosciante realtà. Si imbarca in una tortuosa odissea, raccontata in quattro capitoli distinti, mentre compie il lungo viaggio verso casa. Beau viene rapito da una coppia, perseguitato da un veterinario affetto da disturbo da stress post-traumatico, minacciato da un adolescente che beve vernice e coinvolto in uno spettacolo teatrale sperimentale.
L’ironia scorre attraverso l’intero lungometraggio. Beau ha paura non risparmia neppure lo spauracchio più in voga dei tempi moderni, l’ossessione della vecchiaia. Phoenix è solitamente raffigurato come calvo, grigio e trasandato (tranne nei flashback dell’infanzia, dove è interpretato da Armen Nahapetian).
Il film ha una sequenza temporale spesso poco chiara, se non fosse per alcuni dettagli che ci suggeriscono in che epoca siamo e dove si muovono personaggi fuori contesto per i costumi che indossano. Si salta avanti e indietro tra eventi e ricordi, con flashback poco funzionali alla narrazione e dettati più dall’emotività. Quello che sembra un assemblaggio casuale di scene, in Beau ha paura incarna efficacemente una coscienza frammentata; i suoi apparenti salti temporali sono spesso legati spazialmente a Beau stesso, come se stesse andando alla deriva tra “ora” e “allora” ogni volta che volta la testa.
Beau Is Afraid raramente offre chiarezza su ciò che è reale o irreale, ma rimane al passo con i modi in cui nascita, sesso, invecchiamento e morte si confondono in un continuum ansioso nella mente di Beau. Delirante, eccessivo, eccentrico, caotico e per questo da non perdere.