Se il conflitto tra Ucraina e Russia sembra ancora lontana da una sua risoluzione, un’altra guerra ha scosso il cuore dell’Europa. Senza voler scomodare la nozione vichiana dei “corsi e ricorsi storici”, L’Appuntamento, (titolo originale The Happiest Man in the World) , il nuovo film della regista macedone Teona Strugar Mitevska, (Dio è donna e si chiama Petrunya), ci ricorda che anche a distanza di oltre 20 anni, strascichi di odio, desiderio di vendetta e intolleranza etnica sono più vivi che mai. La regista si addentra nel mondo moderno degli incontri tra single per fare i conti con il passato di un paese, la Serbia, piegata da ferite mai rimarginate. Ispirato ad una storia vera, il film racconta di Asja,una donna single di 40 anni che per incontrare nuove persone, finisce per trascorrere il sabato in un evento di speed dating. Viene “abbinata” a Zoran, un banchiere di 43 anni che non sembra essere lì per lo stesso motivo.
Zoran e Asja si ritrovano a rispondere a domande per conoscersi un po’ meglio. Si va dal semplice (“ Qual è il tuo colore preferito?“) a quelle più personali. Improvvisamente Zoran si rende conto che Asja è la donna a cui ha sparato durante la guerra. “Ho ucciso delle persone”, sbotta Zoran. Questo dà il via a un dramma ad alta tensione che vede Mitevska usare un unico luogo come pentola a pressione per creare i due personaggi principali, e una volta che la verità viene fuori, coinvolgere gli altri partecipanti all’evento. Tutti insieme iniziano un percorso personale per elaborare il trauma, per provare a superarlo. perchè a volte le cicatrici sembrano immortali. Kordić Kuret nel ruolo di Asja mette in scena un’eccellente interpretazione di una donna che lotta per convivere con l’evento che ha cambiato la sua vita mentre Omerović combatte i propri demoni alla ricerca del perdono e della redenzione.
Mentre il cinema dei Balcani rimane fedele ad una narrazione della guerra civile che vuole essere uno strumento fondamentale per comprendere le vicende di un paese che non c’è più, L’Appuntamento si muove da un’altra prospettiva, riflettendo sul difficile tema del perdono o, cosa più importante, sulla possibilità di una pacificazione per crederci e andare avanti. Con le telecamere portatili che invadono i volti dei protagonisti mentre sono alle prese con i tumulti interiori, la regista riesce a dirigere una storia difficile, a modellarla al suo linguaggio cinematografico audace e spensierato e avvicinarla così a un pubblico più ampio e internazionale.