Dretto da Michael Grandage e adattato da Ron Nyswaner dall’omonimo romanzo di Bethan Roberts, My Policeman, dal 4 novembre su Amazon Prime Video, mira a essere una di quelle storie d’amore britanniche represse ambientate in un’epoca passata in cui nessuno dice cosa sta accadendo e tutti sono infelici. La trama ruota attorno a un triangolo amoroso con Tom (Harry Styles da giovane, Linus Roache da vecchio); Patrick (David Dawson, più giovane, Rupert Everett, più vecchio); e Marion (Emma Corrin, giovane donna, Gina McKee, anziana). Tom è un agente di polizia nella Brighton degli anni ’50, in Inghilterra, che inizia a frequentare l’insegnante Marion, anche se il curatore del museo urbano, Patrick, mette seriamente in discussione la loro relazione.
Mentre Harry Styles , Dawson (Aristocrats, Donmar) conferisce al suo personaggio un’aria un po’ troppo sofisticata per l’epoca in cui il film è ambientato ma riesce tuttavia a restituire le tribolazioni di un amore proibito con un uomo molto più giovane, schiavo della sua vita e quindi incapace di impegnarsi in una relazione.
Sono gli anni del dopoguerra ed essere gay è ancora un crimine. Seguiamo il trio negli anni ’50 per poi ritrovarceli in un periodo indeterminato più vicino al presente (non è molto chiaro ma immagino che sia il 1990). In quell’epoca, Patrick ha subito un ictus debilitante e ha bisogno di cure. Marion lo accoglie, ma Tom si rifiuta di guardare e parlare con Patrick. Ovviamente, qualcosa è successo tra questi tre in passato.
Attraverso il silenzio capiamo che Marion e Patrick stanno soffrendo. Le prestazioni di Styles non aiutano molto. Roache, almeno, presenta un Tom più anziano che è risentito nei confronti di sua moglie per aver riportato alla luce il passato sepolto da tempo, che ora non sta solo reprimendo la sua sessualità ma anche la sua amarezza per non essere mai riuscito a stare con l’uomo che amava. Ma Styles è poco decifrabile, la sua performance non è particolarmente interessante, non suggerisce molto della sua vita interiore, e ci sono alcuni momenti in cui le sue battute sono atrocemente cattive. Non è una performance disastrosa, ma non si distingue particolarmente. Styles è noto per il suo magnetismo sul palco, ma qui niente di quel carisma si manifesta.
Rupert Everett se la cava meglio nei panni del vecchio Patrick, rinchiuso nel suo corpo, a malapena in grado di muoversi o parlare. Il suo incontro con Tom è agrodolce, arriva alla fine della sua vita, quando è troppo tardi per parlare davvero di tutto quello che è successo. Tom rimpiange quello che sarebbe potuto essere, se solo lui e Patrick fossero nati più tardi. Marion, però, non si mette mai a fuoco. Gina McKee fa del suo meglio, ma in pratica deve comunicare un’intera esistenza di terzo incomodo attraverso una serie di sguardi e silenzi.
E anche se certamente non lesina sulle scene di sesso, come film queer sembra stranamente antiquato. Le lotte e la segretezza della storia avrebbero potuto sembrare rivelatrici 30 anni fa; oggi vira su hammy. Questo non vuol dire che queste storie brutali e ingiuste non dovrebbero essere raccontate. Ma ti chiedi se l’esperienza gay debba essere caratterizzata, ancora una volta, da insulti omofobici, aggressioni violente e relazioni gay esistenti solo a spese di quelle eterosessuali.