“Eravamo spaventati dal Covid, reduci dal primo lockdown severo, Paolo Virzì ci parlò di quest’idea e ci
sembrò subito molto bella, in qualche modo canalizzava tutte le nostre paure, le trasportava su un altro
piano, ci consentiva di impegnare l’immaginazione su qualcosa di inventato ma contiguo”.Con queste parole, Francesca Archibugi racconta la genesi del film “Siccità”, nelle sale dal 29 settembre. Presentato fuori concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il nuovo lavoro di Paolo Virzì dipinge un futuro cupo, figlio della paure odierne. A Roma non piove da più di un anno, la rete idrica pubblica sta per prosciugarsi tra meno di due settimane, gli scarafaggi hanno infestato la città, e una malattia contagiosa ha cominciato a invadere le corsie del pronto soccorso degli ospedali, consumando vite umane. Le due qualità che definiscono il punto cruciale del film – la pandemia di COVID-19 e la crisi climatica – hanno permesso a Virzì di creare un numero infinito di riferimenti politici e sociale.
In in uno scenario apocalittico, si intrecciano le vite di uomini e le donne di età, estrazione sociale e contesti diversi. Il regista ha assemblato un cast di star italiane, da Valerio Mastandrea a Max Tortora, da Elena Lietti a Monica Bellucci, da Silvio Orlando a Emanuela Fanelli, che interpretano personaggi, ognuno con il proprio arco narrativo fatto di colpa, inganno, avidità, sopravvivenza e perdono. Tra questi un detenuto che trova inaspettatamente una via di fuga dai cancelli della prigione dopo 25 anni, un autista di ridesharing che inizia ad avere allucinazioni sui passeggeri e un esperto di clima che diventa famoso dopo un’apparizione televisiva di successo.
Virzì non è estraneo a questo tipo di struttura cinematografica. Come nel precedente film “Capitale Umano”, i personaggi qui rappresentano diversi stati sociali, consentendo a Virzì di commentare ancora una volta il capitalismo, il potere di un governo ipocrita ed elitario e di una classe operaia che deve adattarsi a un mondo sempre più tecnologico che richiede misure estreme.
Una narrativa complessa e profonda che finisce per diventare una matassa intricata che si ingarbuglia in numero schiacciante di dialoghi sugli argomenti più disparati: dai social media moderni, alla religione, dagli abusi della polizia, al consumismo eccessivo, fino al cambiamento climatico e altro ancora. Di conseguenza, nel creare così tanti personaggi, si fa fatica a collegare tra loro i personaggi e alla fine si rimane con tante domande a cui il film non riesce a dare una risposta, seppure parziale.