Il regista Pawo Choyning Dorji ci riporta a ciò che conta davvero con Lunana: il villaggio alla fine del mondo (titolo originale Lunana: A Yak in the Classroom), candidato agli Oscar come Miglior Film Internazionale (in competizione, tra gli altri, con il nostro È stata la mano di Dio; Drive my car e La persona peggiore del mondo), già vincitrice dell’Audience Award e del Best of the Fest al Palm Springs International Film Festival dello scorso anno, e in uscita nella sale italiane a partire dal 31 marzo 2022.
È proprio a Lunana – un villaggio sperduto dell’estremo Bhutan, tra Cina e Tibet, dove il diritto all’istruzione non può essere garantito – che il ruolo dell’insegnante torna ad essere fondamentale.
È, in effetti, quello che accade a Ugyen (interpretato da Sherab Dorji), il giovane insegnante protagonista della pellicola che, da frizzante cittadino della capitale del Bhutan, auspica di lasciare il suo paese natale per raggiungere l’Australia, dove sogna di fare il contante. E invece il governo non ci sta e, come per contrappasso, lo spedisce nel villaggio di Lunana, dove c’è bisogno di un nuovo maestro.
Inutile dirlo, Ugyen non ne è entusiasta. Probabilmente nessuno lo sarebbe, dopo i sei giorni di cammino (sì, proprio di cammino!) necessari per raggiungere Lunana. E una volta lì, le cose non migliorano: l’abitazione del maestro Ugyen ha della carta al posto delle finestre per ripararsi dal freddo dell’Himalaya, il bagno consiste in due tegole di legno, l’elettricità è un miraggio e nella classe non c’è neanche una lavagna. A compensare, però, c’è la profonda stima che, con sua grande sorpresa, Ugyen riceverà da tutti (i pochi) abitanti del remoto villaggio montuoso. Una stima che a tratti è addirittura una reverenza, perché a Lunana “gli insegnanti toccano il futuro”, come Ugyen imparerà da un suo giovane studente.
È proprio quando sta per abbandonare sul nascere quell’indesiderata avventura dell’insegnamento a Lunana che accade la magia per Ugyen, grazie soprattutto all’entusiasmo che certamente non manca ai suoi giovanissimi studenti. Una magia che ricorda un po’ quel realismo magico dell’America Latina, ma che in realtà somiglia più a un ritrovarsi e a riconoscersi come parte integrante della natura. È, in fondo, proprio questo il significato stesso del film: tanto naturale e ancestrale quanto straordinario, se contestualizzato negli anni della connessione solamente digitale e dei rapporti virtuali.
Un ritorno alle origini che per Ugyen inizia nel momento in cui la batteria del suo cellulare cede, lasciandolo in balia dei paesaggi infiniti del Bhutan montuoso, a migliaia di metri di altitudine, e alle soffici nuvole che fanno da sfondo all’intero film, così straordinariamente vicine che lo straniamento iniziale dello spettatore moderno (e del protagonista spesso) viene superato, sequenza dopo sequenza, panorama dopo panorama, in una regia semplice e lineare, al punto da far pensare, anche solo per un attimo, che forse la vita senza cellulare è impossibile e che forse non solo è fattibile recuperare un altro tipo di connessione – una più antica -, ma che questo recupero non sarebbe neanche così male e, forse forse, si avvicina persino alla felicità.
Un film, in conclusione, che ha tutte le inquadrature in regola per meravigliare l’Academy e dare del filo da torcere agli altri candidati per l’Oscar. Un temibile avversario dalle sequenze estremamente rilassanti e rilassate, di cui potrete godere per centodieci minuti di durata dal 31 marzo grazie alla distribuzione di Officine Ubu.